lunedì 3 novembre 2008

La Regina alla fonte (seconda parte)

“Non è nulla che nasce dall’esterno che impensierisce la Regina, non una malìa di strega, né la paura di un nemico che, se pur esiste, non può sperare di sorprendere le guarnigioni… la Regina soffre di una malattia dell’anima, gravissima, forse addirittura mortale”.
A queste parole i cortigiani avevano cominciato a parlare fitto tra loro. Il ronzio si era levato a tal punto che il ciambellano aveva ripreso a parlare alzando il tono della voce e scandendo le sillabe di un richiamo al silenzio. Il silenzio era piombato immediatamente nella stanza. L’atmosfera era austera: solo una lampada illuminava fiocamente la stanza ingombra di strumenti astrologici e di libri. Un’unica gran finestra si apriva su un cielo stranamente sgombro dalla nebbia e quella sera fittamente stellato. Un cortigiano impaziente alla fine aveva osato chiedere:”Che consiglia, ciambellano?”
Il vecchio aveva squadrato l’interrogante con i suoi occhi profondamente scavati. Quello si era sentito annientato e rinserrato nel gran mantello quasi a cercare lì dentro un impossibile rifugio.
Il Ciambellano, senza alzare la testa dai libri, aveva cominciato a parlare sottovoce, quasi fosse un discorso tra sé e sé, sicuro che ora l'attenzione fosse tutta rivolta verso di lui. I cortigiani si sporgevano verso di lui attenti a non perdere il più piccolo respiro del vecchio.
“Ho visto la Regina -aveva cominciato a dire il Ciambellano con voce grave -, un giorno, su alla sorgente. Sola. Si era affacciata allo specchio dell’acqua limpida che sgorgava dalla roccia e si riversava nel bacile di pietra. Cercava la purezza dell’acqua sorgiva forse per scoprire l’arcano segreto del suo perenne scorrere. Nell’affacciarsi aveva incontrato il suo volto, riflesso nel bacile, l'immagine increspata dal movimento dell'acqua e a quel punto… avevo visto una smorfia disegnarsi sul suo volto, quasi che , all’improvviso, avesse visto riflesso qualcosa di mostruoso. Non posso dimenticare quell’espressione. Era l’anima al cospetto di sé stessa. Senza protezioni, senza veli. Due occhi che fissavano dentro. Mi sono chiesto - Cosa avrà mai visto?-.
Poi, non so per quale imprevedibile assonanza, ho pensato a me, allo sguardo che avrei rivolto a me stesso, uno sguardo che, forse, non ho mai avuto il coraggio di fare. Mi sono risposto -Sono così vecchio forse per questo: non ho mai avuto orrore di me stesso vivendo nella presunzione di poter capire la natura e catalogare ogni cosa progredendo nella conoscenza. Così ho pensato di esorcizzare il vuoto, il nulla che mi circonda e mi riempie. E' chiaro, sopravvivo grazie alla mia superficialità non grazie alla mia saggezza-.
Poi ho visto la Regina distogliersi, all’improvviso, da quella visione e salire a passo svelto sulla più alta torre del castello, aprire il mantello ed attendere che il vento lo gonfiasse. Pareva un enorme uccello ad ali spiegate nell’attesa di essere ingravidato dal vento. Il volto, appena illuminato dalla luna, come trasfigurato. Poi un urlo, straziante. Non so definirlo. Come fosse allo stesso tempo di dolore e di piacere. Le tenebre della notte avevano poi annegato tutto. Ecco che già si rincorrevano i richiami delle guardie sui bastioni del castello”.

(Continua con l'ultima parte)

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