sabato 10 gennaio 2009

Dalla parte dei matti

Eugenio Borgna è primario emerito di Psichiatria all'Ospedale di Novara e libero docente in Clinica delle malattie nervose e mentali all'Università Statale di Milano, nel suo libro Come uno specchio oscuramente (libro talmente complesso e ricco di suggestioni non solo nel campo psichiatrico, ma anche di letteratura e arte che non oso nemmeno tentare di commentare) descrive la storia clinica di una paziente del neurologo Erwin Straus (1891-1975). La paziente non era in grado di scrivere, o di pronunciare, parole che, anche molto allusivamente, rimandassero ad una qualche connessione tematica con la morte. I testi delle lettere che scriveva, naturalmente, erano lacunosi: interrotti da spazi bianchi, corrispondenti alle parole disperatamente cancellate nel timore che, alludendo esse alla morte, questa realmente giungesse.
Una angoscia ossessiva della morte trasformata in scrittura lacunosa.

Ho provato ad immaginare quei testi e mi sono arreso all'evidenza.

2 commenti:

  1. c'è un testo che mi stringe il cuore di alda merini, racconta dei suoi ricoveri, con le parole semplici che contraddistinguono la sua poesia descrive il delirio di chi crede che la malattia mentale sia curabile negli istituti o con i farmaci
    ogni volta è un pozzo senza fondo di dolore
    e immaginare cosa abbia portato queste persone a scappare dalla vita reale è un dolore ancora piu profondo
    e immaginarli rinchiusi e privati di ogni diritto in balia di un medico che sa....perchè loro lo sanno...non hanno mai dubbi, o alla meglio dicono che "non si puo fare altro" e intanto stanno prendendo piede le nuove terapie con l'elettroshock, fatto con l'anestesia così non ci sono gli sgradevoli effetti collaterali
    poveri matti, non hanno avuto scampo
    non era su questo che volevi riflettere guglielmo ma a me questo porta
    francesca2

    RispondiElimina
  2. @Francesca2. Le associazioni di idee sono tutte buone. Anche quella paziente di Erwin Straus aveva capito (fino all'ossessione) che tutte le vite portano un marchio. Cosa che è evidente a tutti, ma per qualcuno diventa insopportabile.
    Forse è una pretesa credere di poter "guarire" anche perché questo presuppone (conscio o inconscio) un certo modello di "normalità" e compito del terapeuta sarebbe quello di riportare il "malato" dentro questo "recinto". In realtà si tende a minimizzare con un uso spropositato di farmaci i "fastidi" che il malato può infliggere agli altri ed a se stesso facendolo vivere in una specie di continua anestesia dell'inconscio.
    PS Non sono ne un terapeita, ne un esperto di malattia mentale. Quindi i giudizi che tiro sono del tutto arbitrari e personali.

    RispondiElimina

I commenti sono moderati per evitare sgradite sorprese.

Una guida dedicata al mio paese

  Lo scorso anno scolastico ho presentato un progetto alla Scuola secondaria di primo grado (le "medie" di una volta) un progetto ...