giovedì 6 agosto 2009

Giovanni Jervis e qualche ricordo

Ricordare Giovanni Jervis è come tornare al 1969 quando, studente spaesato (nel vero senso della parola, era uscito dal paese inoltrandomi nella città) di lettere alla Statale di Milano, preferivo le lezioni tutt'altro che accademiche di uno psicologo [di cui non ricordo il nome, forse un certo Caracciolo] che era riuscito a farsi dare un'aula al Politecnico e lì svolgeva i suoi happening seguitissimi ed assai divertenti. Ricordo quel autunno e inverno e poi la primavera del 1970 delle appassionate discussioni con due amici, nei giardini davanti all'università, che avevano come argomento principale la "normalità", questione centrale (almeno per noi neofiti rimasti tali) della nuova psichiatria con tutte le implicazioni sociali che si portava dietro.
Naturalmente il Manuale critico di psichiatria, che apparirà qualche anno dopo, non poteva che essere l'approdo di questi studi poco ortodossi: lì leggemmo il capitolo finale La normalita e la sua critica che avrebbe dato una sistemata a qualche idea senza toglierci dal nostro eclettismo.

Per di più quei tre giovani (uno ero io, un altro diventerà ingegnere civile e l'ultimo un ottimo magazziniere) che si trovavano al Politecnico erano stati presi da uno spirito missionario e pertanto avevano avuto la grande pensata di non tenersi tutto per sé, ma frettolosamente imbastito in proprio, nella profonda e sonnacchiosa provincia, un vero e proprio corso serale cercando di trasmettere il "verbo" appena rivelato nella grande università della Città. I destinatari di questa "opera di bene" erano altri disgraziati perditempo che non avevano nulla di meglio da fare che apprendere (di seconda mano per di più) i primi rudimenti di psicologia. Quale oscura motivazione li avesse portati a tanto non è dato sapere ancora oggi.

Rimane un po' di nostalgia per lo spirito assolutamente improvvisato ed "ambizioso" degli obiettivi che potevano animare tre giovani. Avevamo la sfrontatezza di guardare molto in alto.

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