Anche solo il rimanere accanto ad una paziente, o ad un paziente, lambiti dai venti sotterranei del dolore del corpo, e del dolore dell'anima, non guardando l'orologio, non lasciandosi trascinare dalle rigide scansioni del tempo misurabile, ma sintonizzandosi con il tempo interiore, con il tempo vissuto, può aiutare a sentire e a vivere la malattia come qualcosa che fa parte di un destino comune a chi cura, e a chi è curato.
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Molto anti-convenzionale questa concezione del tempo, che diventa spazio interiore comune al medico e al paziente, visto anche nella prospettiva di un " destino comune".
RispondiEliminaDetta soprattutto da un medico( se pur dell'anima ). O proprio per questo?
Guglielmo tutto bene?
RispondiEliminaMaurizio