venerdì 31 gennaio 2014

Matrimonio d'altri tempi

La sposa scende dalla camera dove la mamma l'ha aiutata a vestirsi,
porta in braccio un mazzo di fiori raccolti nel giardino.
Il padre osserva con il figlio più piccolo ed una vicina.
La casa è quella povera dei cortili del mio paese negli anni '30.
La stanza da letto (unica per tutta la famiglia era al primo piano.
Sotto c'era la cucina 
con il camino, questa stanza dava direttamente sulla corte.
La camera non era riscaldata, c'era solo un piccolo buco in un angolo
che serviva per far salire un po' di caldo dalla cucina.
Spesso d'inverno l'acqua nel catino in camera si gelava.

Sul lato opposto le stalle ed in fondo alla corte la letamaia 
con accanto la latrina comune.



domenica 19 gennaio 2014

La pausa

Piovoso sabato di gennaio. Teatro di periferia (ex cinema parrocchiale recuperato). Pubblico formato da 10 persone che , contro ogni buonsenso, sono uscite di casa per andare (non mettetevi a ridere) a TEATRO. Roba da intellettuali sfigati che non hanno nulla meglio da fare. 
Lo spettacolo poi... Una pièce su Camilla Cederna, si quella borghese che scriveva contro i borghesi, quella che è stata il mandante morale della morte del commissario Calabresi, quella che ha osato parlar male di quel galantuomo del Presidente della Repubblica di Giovanni Leone...


Pensierino. La pausa. Il bello del teatro è l'imprevisto. Lo spettatore non distingue nulla,. Non conosce il testo. Non conosce la drammaturgia. Non conosce le pause. Non le sa distinguere.
Ad un certo punto l'attrice ha fatto una pausa. Si vabbè un po' più lunga delle altre. Non c'era smarrimento nei suoi occhi. Non c'era imbarazzo. Era una pausa per il pubblico. Dice "Un buco". Si avvicina al tavolo (unico arredo di un palco spoglio). legge. Due frasi. Riparte. Non si ferma più. Ci saranno altre pause. Ma non si ferma più.
Fosse solo per quella pausa, il teatro è emozione ed è la forma di spettacolo che non tramonterà mai: finché ci saranno emozioni , chi le racconta e chi le ascolta.

sabato 18 gennaio 2014

Sonno, silenzio, ma che ci fa un gallo (santo per di più)?

A San Gallo che protegge il sonno

Un mio parente eremita
in cui mi identificai più che parzialmente
scrivendo il lungo poemetto "Biglia"
fu l'ultimo tuo compagno nell'auscultazione
di certi sistemi del silenzio
di certe microvocalità stellari
dentro la "celluzza sospesa sospesa sospesa
su nell'altissimo dei colli alati"

Il mio caro parente scendeva in paese
a portar nuove del vicinissimo
eppure smarrito come in baratri di prospettive
Sanctus Gallus
Lo avviarono poi alla casa di riposo
giù in pianura, e dalle spalle gli tolsero
il prezioso sacchetto in cui
molto egli questuando accoglieva di ciò
che è benigno nel prossimo nostro
pur devolvendo a profitti senza misura
entro i celesti caveux.

Ora – Sancte Galle -
per terrazzi di sogni e soprassogni
non sempre soleggiati
ma non sempre piovosi e sdrucciolevoli
e pur sempre di nevi consapevoli
a te salgo talvolta
a te che il minimo e birichino
sonno concedi ai bambini incattiviti, ai neonati bisbetici,
che poi per tua grazia chinano il capo
sul collo della madre e sorridono
al sorriso di lei, ciascuno
come dentro la sua propria Ecloga Quarta,
come nel presentimento
di ogni più strabiliantissimo
e rasserenantissimo evento

S.G.: Sancte Galle  -
Sia il sonno in cui tu mi recuperi
delicato impossibile elegante
come l'attuale tuo modo di esistere.

Andrea Zanzotto 

Pensierino. Vado cercando quel prezioso sacchetto in cui è raccolto ciò che di benigno nel prossimo nostro c'è.

lunedì 13 gennaio 2014

Sik-Sik, l'artefice magico

Questo post è dedicato a tutti gli illusionisti del nostro povero paese.

"Sik-Sik, l'artefice magico" è l'atto unico scritto da De Filippo nel 1929, presentato cinquant'anni dopo al teatro San Ferdinando in una nuova versione. È l'esilarante storia di un illusionista di terz'ordine, alle prese con una sfortunata esibizione. 
Di questa rappresentazione il critico teatrale Giulio Baffi ha conservato su cassetta una registrazione amatoriale che viene pubblicata dall'editore Guida assieme al cd audio (oltre al testo).
Su youtube si trovano versioni audio di questo atto unico che, potete verificare, sono tutt'altro dal testo scritto che pure circola. L'invenzione teatrale e l'improvvisazione di Eduardo sono continue e l'effetto esilarante sul pubblico è contagioso.


(omissis)...ultimo esperimento: la scomparsa di un culombo. (A Giorgetta la moglie vestita con un improbabile kimono che lascia scoperte le gambe e non nasconde l'incipiente gravidanza ndr) Madamigella il culombo! (Giorgetta fa un inchino e sorridente porge il volatile). Io piglio questo culombo...RAFELE (interrompendo con tono di mistero) Pollastro!...SIK-SIK (lanciandogli un'occhiata di ira) Io piglio questo culombo...RAFELE (C. S.) Pollastro!SIK-SIK (guarda il colombo dubbioso dopo l'affermazione di Rafele) Questo è culombo! Io piglio questo culombo e lo vado a chiudere in una gabia, e in meno di un sicondo il culombo sarà sparito. (Va in fondo, prende la gabbia, introduce il colombo, copre tutto con un misterioso panno nero, poi, dopo alcuni gesti di magia e di esorcismo, scopre la gabbia e la mostra vuota. Poi rivolgendosi al pubblico e battendo con aria di sufficienza e di superiorità una mano sulla spalla di Rafele) Lui non sape niente! (Ride).RAFELE E neanche lui sape niente!... (Ride anche lui).SIK-SIK Adesso 'ave la suppresa...RAFELE No, la suppresa l' 'ave lui...SIK-SIK (riprendendo il suo tono di imbonitore da baraccone) Il culombo che si trovava in quella gabbia, signori, si trova adesso nel cappello del signore. (Mostra Rafele. Poi a costui) Fate vedere il culombo!RAFELE Io direi... facciamo il giuoco del pollastro...SIK-SIK Io ho fatto sparire il culombo!RAFELE Ma ognune sape i fatti suoi... Sentite a me, per il bene di tutti quanti è meglio che io faccio vedere il pollastro...SIK-SIK (gli dà un calcio e gli strappa il cappello) Aggio ditto culombo.RAFELE (tirando fuori dal suo cappello a bombetta un nero pollastro) Pollastro!... V''o sto dicenno 'a mez'ora, 'o palummo se n'è scappato, pe' via 'e Nicola che m'ha pigliato a ponie. E m'avissev' 'a ringrazia c'aggi' arremediato accussì.
Sik-Sik e Giorgetta sono costernati, affranti, senza parole. Si scambiano delle occhiate di avvilimento e di interrogazione. Ma Sik-Sik non si avvilisce mai ed anche questa volta risolve come solamente lui può risolvere.
SIK-SIK Il culombo che si trovava in quella gabia l'ho fatto sparire, l'ho fatto trovare nel cappello del signore... (Una breve pausa che basta a ridargli la sua abituate audacia) E l'ho fatto diventare pollastro!... 
Se l'orchestra non lanciasse i suoi ironici accordi di tromba si udrebbe il singhiozzo di Sik-Sik. Ma la tela, piú pietosa, precipita.

venerdì 10 gennaio 2014

Traduzioni d'autore

Il mio amico Antonio si cimenta da qualche tempo in traduzioni d'autore in dialetto milanese. 

Avvertenza per i puristi (della poesia e del dialetto): l'operazione di tradurre i classici in dialetto è cosa che ha visto illustri esempi passati (tra i più significativi quello di Eduardo de Filippo con la Tempesta di William Shakespeare). Non è una novità. Per i puristi del dialetto dico subito che quello usato da Antonio è un dialetto del contado milanese, un po' spurio e ruspante. Ma il dialetto è per definizione "contaminato" da mille influenze. Nei nostri paesi che distano uno dall'altro dai 3 ai 7 chilometri ogni paese ha una inflessione dialettale diversa. Chi è poi di Milano sa perfettamente che il dialetto di Niguarda è diverso da quello di Porta Romana o dei Navigli. Quindi questo dialetto (lingua-dialetto) è una contaminazione di tante lingue.

Ho imparato

Che crescere 
non significa solo fare l'anniversario
Che il silenzio
è la miglior risposta quando si sente una stupidaggine
Che lavorare
non significa solo guadagnare soldi
Che gli amici
si conquistano mostrando chi realmente siamo
Che i veri amici
stanno con noi fino alla fine
Che le cose peggiori
spesso si nascondono attarverso una buona apparenza
Che la natura
è la cosa più bella di questa vita
Che quando penso di sapere tutto
ancora non so' niente
Che un solo giorno
può essere più importante di molti anni
Che si può conversare con le stelle
Che ci si può confessare alla luna
Che si può viaggiare nell'infinito
Che è salutare sentire buone parole
Che anche ad essere gentili fa bene alla salute
Che è necessario sognare
Che si può essere bambini tutta la vita
Che il nostro essere è libero
Che Dio non vieta nulla in nome dell'amore
Che giudicarsi non è importante quando realmente importa è la pace interiore
E finalmente ho appreso... che non si può morire per imparare a vivere.

(W.Shakespeare)

Ho imparà

Ho imparaa che cres l'è no fa l'aniversari
che ul silensi a lé la migliur risposta a una stupidada
che lauraa al voeur di no guadagnà dané
che i amis sa fann mustrandus cuma sem
che i veri amis stann cun nun fina a la fin
che i robii bruti sa scundan suta una bona aparensa
che la natura l'é la roba pusé bela de la vita
che quandu pensu da savé tucoss a so tien
che un  di da parlu' el poe vess pusé important da tanti ann
che sa poeu parla cun i stell e cun la Luna
che sa poeu viagià par semper
che a lé bel sentì   di bei parol
che a ves gentii fa ben a la saluti
che a l'è necesari sugnà
che sa poeu ves fìoeu tuta la vita
che ognun a lé libar
che ul Signur ul pruibis nienti per l'amur
che a giuducas le no important, ca cunta a lé la pas da dentu
e finalmenti u imparaa... ca sa poeu no  murì par imparà a viv.

(Antonio M.)

mercoledì 8 gennaio 2014

Ci vediamo, zio

Mi è rimasto un solo zio. Quello a cui sono più affezionato. Sapendo del suo stato di salute non proprio esaltante, mi sono deciso ad andarlo a trovare nella città che mi sta sempre nel cuore (Torino).

L'incontro è stato breve e intenso. Mi ha sempre parlato come un coetaneo anche se ho 35 anni meno di lui e sicuramente un carico sulle spalle meno grave del suo. Lui, deportato in campo di concentramento in Polonia e poi in Germania a 20 anni perché renitente alla leva, parla con leggerezza di quel periodo che ancora sente come fondamentale per la sua vita. Lui che mi confida che quando va a letto la sera si sente "sereno". Lui che si chiede con un certo timore: "come farò a morire?".
Passeggiamo sotto i portici da Piazza San Carlo verso Piazza Castello, fino da Baratti e poi nella Galleria del cinema Romano passando poi davanti al Teatro Carignano e al Museo Egizio. Ci fermiamo ogni 10 passi a raccontarci le nostre cose. Anzi mi accorgo che sto più ad ascoltare che a dire. Che posso dire io della mia vita ? E' poca cosa in confronto alla sua. Lui sarto per tradizione famigliare, deportato come schiavo i Hitler in Polonia a 19 anni, poi la ricostruzione ed il suo tentativo di fare il "salto" con un piccolo negozio di abbigliamento, poi ancora costretto ad abbandonare il paese per vicissitudini economiche ed emigrare a Torino dove sua moglie aveva trovato un lavoro come commessa (parliamo degli anni '60). Ricostruisce una vita professionale mettendo su un atelier di moda (lui è un mago del "taglio"). La figlia sposa uno della Torino bene (l'ambizione di riscatto sociale della madre si scarica sulla figlia). Sembra tutta andare bene poi la separazione tumultuosa della figlia e la malattia di sua moglie e la prematura morte. Ora lo vedo qui, avvolto nel suo mongomeri color cammello, con il suo cappello che gli ripara la pelata, magro e allampanato che pare uscito oggi dal campo di concentramento. Mi sorride.

Ci vediamo, zio, grazie di tutto.    

mercoledì 1 gennaio 2014

Un nuovo anno è iniziato e c'è già una sorpresa...

Un nuovo anno è iniziato e c'è già una novità, bellissima. Che dire ? La vita ti mette di fronte a tante cose non tutte belle, ma non smette mai di stupirti.



Una guida dedicata al mio paese

  Lo scorso anno scolastico ho presentato un progetto alla Scuola secondaria di primo grado (le "medie" di una volta) un progetto ...