martedì 28 aprile 2020

Amaro Rea

Ho finito di leggere l'amaro libro di Domenico Rea, Pensieri della notte, Dante & Descartes, 2006. Un libro immerso in una Napoli lontana dalle cartoline "basta ca ce sta 'o sole", una città vissuta dai protagonisti esclusivamente di notte, camminando a piedi nei vicoli luridi, visitando per cene luculliane infimi bassi o terrazze affacciate su un mare di antenne tivvù. Rea e gli amici (i professori Igalo e Broell) si aggirano a piedi o di malavoglia con una sgangherata 500, alla ricerca di qualcosa di autentico che ancora si può gustare in questa città trasformata in una metropoli anonima, omologata per gusti ed abitudini e mantenendo, comunque, quell'afrore caratteristico, persistente, dal quale pare non riesca ad affrancarsi.
La città di giorno è invivibile per il traffico caotico, il rumore, una delinquenza sfrontata che non trova alcun argine al suo dilagare, accettata come una calamità naturale. 
I vecchi professori parlano di gusti antichi della cucina, del libraio napoletano di Port'Alba dal quale si trovano i libri anche usciti 10 anni fa, delle bellezze della strada per San Gregorio Armeno, dell'impareggiabile  camiciaio Struzzo, dei sarti sopraffini Panico Rubinacci e Ciardi. Insomma parlano di un mondo che scompare. 
Il prof. Broel alla fine tenta una fuga in un convento immerso nei boschi di Vallechiara, ma scopre che anche lì è arrivata la "modernità" con i suoi eroi (Baudo, la Carrà e Maradona) e quindi se ne ritorna a Napoli concludendo "Pensando a quanto ho visto e sentito soffrirò di meno".

Rimane un libro pieno di un humor amaro. Delizioso.

PS Deliziosi i due gattini Fritz e Look che seguono i nottambuli nelle loro scorribande gastronomiche, ricavandone sempre il loro tornaconto.

PPSS Il Prof. Igalo, manco a dirlo, abita in vico Purgatorio Storto: un nome, un destino.

giovedì 23 aprile 2020

Arrivano i barbari

Arrivano i barbari di Costantino Kavafis



Che aspettiamo, raccolti nella piazza?
Oggi arrivano i barbari.
Perché mai tanta inerzia nel Senato?
E perché i senatori siedono e non fan leggi?

Oggi arrivano i barbari.
Che leggi devon fare i senatori?
Quando verranno le faranno i barbari.
Perché l’imperatore s’è levato
così per tempo e sta, solenne, in trono,
alla porta maggiore, incoronato?

Oggi arrivano i barbari
L’imperatore aspetta di ricevere
il loro capo. E anzi ha già disposto
l’offerta d’una pergamena. E là
gli ha scritto molti titoli ed epiteti.
Perché i nostri due consoli e i pretori
sono usciti stamani in toga rossa?
Perché i bracciali con tante ametiste,
gli anelli con gli splendidi smeraldi luccicanti?
Perché brandire le preziose mazze
coi bei caselli tutti d’oro e argento?

Oggi arrivano i barbari,
e questa roba fa impressione ai barbari.
Perché i valenti oratori non vengono
a snocciolare i loro discorsi, come sempre?

Oggi arrivano i barbari:
sdegnano la retorica e le arringhe.
Perché d’un tratto questo smarrimento
ansioso? (I volti come si son fatti serii)
Perché rapidamente le strade e piazze
si svuotano, e ritornano tutti a casa perplessi?

S’è fatta notte, e i barbari non sono più venuti.
Taluni sono giunti dai confini,
han detto che di barbari non ce ne sono più.
E adesso, senza barbari, cosa sarà di noi?
Era una soluzione, quella gente.


(Tratto da Poesie, Oscar Mondadori editori, Milano, 1961. A cura di Filippo Maria Pantani.)

Pensierino. Ora che i "barbari" non premono più alle nostre porte, che sarà di noi? Cosa sarà di quelli che avevano tanto confidato in loro per giustificare muri e blocchi navali ?. 

Lalla Romane e le immagini della sua infanzia

Lalla Romano con il suo libro Lettura di una immagine, Einaudi, ci tiene a precisare che non vuole fare una storia della sua famiglia e per pudore e riservatezza nemmeno uno scavo psicologico dei personaggio familiari che sono rappresentati nelle foto. La sua rimane una descrizione estetica delle foto ritrovate in un vecchio baule della casa di famiglia a Demonte (Cuneo) che suo padre Roberto, geometra, capo dell’Ufficio tecnico del Comune aveva scattato intorno al 1910.
La lettura estetica è contrassegnata da tanti riferimenti alla pittura in particolare francese e rileva la prima grande passione di Lalla Romano per la pittura.

Le foto, che forse per la riproduzione tipografica o per l'intrinseca qualità risultano un po' "impastate" e i particolari che Lalla Romano descrive, alcune volte, sfuggono al lettore. Comunque la scrittrice, pur con tutta la ritrosia che esprime programmaticamente in premessa di questo libro, ci offre una quadro di sentimenti familiari, di rapporti sociali che disegnano efficacemente una famiglia borghese alla vigilia della prima Grande Guerra.

Molto interessante rimane comunque la "lettura" delle foto con una minuziosa descrizione della composizione dei personaggi fotografati, dei vestiti con i loro accessori, dei luoghi (esterni ed interni), delle espressione e posture dei soggetti. Vi è , per dirla con Ronald Barthes, non solo uno "studium" (la descrizione puntuale) della foto ma cercare anche un "punctum" (qualcosa che fa presagire un divenire). Non a caso uno dei capitoli del libro si intitola "ritratti-destini".








giovedì 16 aprile 2020

Pro e contro la fotografia ed il suo uso

Da tempo ho in mente un progetto di un album fotografico familiare che però non sia una semplice raccolta di vecchie foto, ma qualcosa di più. Sarà l'età (freschi freschi i 70 anni) che porta una buona dose di nostalgia. Forse c'è (un po' velato) il desiderio che certe cose rimangano per qualche tempo almeno nella memoria di mio figlio (già i nipoti le avranno scordate).
Naturalmente la prima cosa da fare quando ci si appresta ad una simile impresa è sciogliere qualche piccolo dubbio. Cerco di spiegarmi. In primis cos'è una fotografia, poi cos'è quella fotografia per me, cosa potrebbe dire quella fotografia a chi non ha un rapporto emotivo con quella foto.

Divagazione 1. Di entusiasti e detrattori del mezzo fotografico ce ne sono a schiere: gli entusiasti in genere sono fotografi (più o meno dilettanti o professionali) e anche numerosi scrittori (Jack London, Giovanni Verga, Émile Zola, Lewis Carroll, Allen Ginsberg, August Strindberg, Silvio Perrella e Alessandro Baricco); di detrattori ne cito almeno tre: Italo Calvino (L'avventura di un fotografo), Giovanni Arpino (Contro la fotografia), Ronald Barthes (La camera chiara).

Tutti (entusiasti e detrattori) sono concordi col dire che la foto è un mezzo effimero: poche sono le foto che entrano come dire nell'immaginario collettivo e anche questo immaginario muta sempre più rapidamente tanto che basta un piccolo scostamento temporale o di luogo e tutto cambia.

Divagazione 2 (un po' più lunga).  Scrive Ronald Barthes in La camera chiara, Einaudi (p. 69)
Così, solo nell'appartamento nel quale era morta da poco, io andavo guardando alla luce della lampada, una per una, quelle foto di mia madre, risalendo a poco a poco il tempo con lei, cercando la verità del volto che avevo amato. E finalmente la scoprii.
Era una fotografia molto vecchia. Cartonata, con gli angoli smangiucchiati, d'un color seppia smorto, essa mostrava solo due bambini in piedi, che face­vano gruppo, all'estremità d'un ponticello dì legno in un Giardino d'Inverno col tetto a vetri. Mia ma­dre aveva allora (1898) cinque anni, suo fratello sette. Lui teneva la schiena appoggiata alla balau­strata del ponte, sulla quale aveva disteso un brac­cio; lei, pii discosta, pit1 piccina, stava di faccia; s'intuiva che il fotografo le aveva detto: «Fatti pini avanti, che ti si veda»; aveva congiunto le mani, te­nendole con un dito, come fanno spesso i bambini, con un gesto impacciato. Fratello e sorella, uniti fra loro, io lo sapevo, dalla disunione dei genitori, i quali avrebbero divorziato di li a poco, avevano po­sato uno accanto all'altra, soli, in mezzo al fogliame e alle palme della serra (era la casa in cui rnia. madre era nata, a Chennevières-sur-Marne).
Osservai la bambina e finalmente ritrovai mia madre, La luminosità del suo viso, la posizione in­genua delle sue mani, il posto che essa aveva docilmente occupato senza mostrarsi e senza nascondersi­, la sua espressione infine, che la distingueva, come il Bene dal Male, dalla bambina isterica, dalla smorfiosetta che gioca all'adulta, tutto ciò formava l'immagine d'una innocenza assoluta (se si vuole accogliere questa parola nella lettera della sua etimologia, la quale è “Io non so nuocere”)...

E Italo Calvino ne L’avventura di un fotografo, in Amori difficili, Einaudi p. 57

È il fotoreporter il vero antagonista del fotografo domenicale? I loro mondi si escludono?
Oppure l'uno dà un senso all'altro?» e così riflettendo prese a fare a pezzi le foto con Bice (ndr la fidanzata che l'ha lasciato) o senza Bice accumulate nei mesi della sua passione, a strappare le filze di provini appese ai muri, a tagliuzzare la celluloide delle negati-ve, a sfondare le diapositive, e ammucchiava i residui di questa metodica distruzione su giornali distesi per terra. «Forse la vera fotografia totale, pensò, è un mucchio di frammenti d'immagini private, sullo sfondo sgualcito delle stragi e delle incoronazioni.» Piegò i lembi dei giornali in un enorme involto per buttarlo nella spazzatura, ma prima volle fotografarlo. Dispose i lembi in modo che si vedessero bene due metà di foto di giornali diversi che nell'involto si trovavano per caso a combaciare. Anzi, riaprì un po' il pacco perché sporgesse un pezzo di cartoncino lucido d'un ingrandimento la-cerato. Accese un riflettore; voleva che nella sua foto si potessero riconoscere le immagini mezzo appallottolate e stracciate e nello stesso tempo si sentisse la loro irrealtà d'ombre di inchiostro casuali, e nello stesso tempo ancora la loro concretezza d'oggetti carichi di significato, la forza con cui s'aggrappavano all'attenzione che cercava di scacciarle. Per far entrare tutto questo in una fotografia occorreva conquistare un'abilità tecnica straordinaria, ma solo allora Antonino avrebbe potuto smettere di fotografare. Esaurite tutte le possibilità, nel momento in cui il cerchio si chiude-va su se stesso, Antonino capì che fotografare fotografie era la sola via che gli restava, anzi la vera via che lui ave-va oscura mente cercato fino allora. 

E di nuovo Ronald Barthes in La camera chiara, Einaudi (p.65 Citando Proust, Il tempo ritrovato)

Una sera di novembre, poco tempo dopo la morte di mia madre, mi misi a riordinare delle foto.
Non speravo di «ritrovarla », non mi aspettavo nulla da «certe fotografie d'una persona, guardando le quali ci par di ricordarla meno bene di quando ci accontentiamo di pensarla» (Proust). Sapevo perfettamente che, a causa di quella fatalità che è uno degli aspetti piú atroci del lutto, per quanto consultassi le immagini, non avrei mai più potuto ricordarmi i suoi lineamenti (richiamarli interamente a me). No. Conformemente al desiderio espresso da  Valéry alla morte della madre, io volevo « scrivere un libretto su di lei, solo per me» (forse un giorno lo scriverà, affinché, impressa, la sua memoria duri almeno il tempo della mia notorietà). Inoltre, quelle sue foto, fatta eccezione per quella che avevo pubblicato, in cui si vede mia madre giovane che passeggia su una spiaggia delle Landes e nella quale «ritrovavo» il suo passo, la sua salute, il suo fascino — ma non il suo volto, troppo lontano —, quelle sue foto non potevo nemmeno dire che le amassi: non mi mettevo a contemplarle, non mi ci perdevo.
Le scorrevo, ma nessuna di loro mi pareva veramente «buona»: nessuna performance fotografica, nessuna risurrezione viva del volto amato. Se un giorno le avessi mostrate a degli amici, dubito che esse avrebbero detto qualcosa.
Più modestamente faccio ancora due citazioni: la prima è del grande fotografo Gianni Berengo Gardin che risponde su cosa cerchi ancora dalla fotografia
Il racconto cerco, il racconto. Ci sono due tipi di fotografia che raccontano. Una, chiamiamola alla Cartier-Bresson tra virgolette: una foto unica che però racconti qualcosa. L’altra, il racconto con cento foto, quindi più dilazionato, per fare un libro.
 La seconda è ancora Roland Barthes:
Così è la Foto: non da dire ciò che dà a vedere.

Ecco mi piacerebbe fare un "racconto fotografico" per cercare di dire quello che vedo in alcune fotografie. E' banale?

PS Non ho ancora trovato un libro che devo consultare prima di buttarmi in questa avventura ed è di Lalla Romano, Lettura di un’immagine,

martedì 7 aprile 2020

Il miracolo segreto

Il miracolo segreto è uno dei racconti che compone il libro Finzioni di Jorge Luis Borges che in Italia è noto per la traduzione di Franco Lucentini per i tipi di Einaudi.

Il protagonista del racconto è lo scrittore praghese Jaromir Hladìk, ebreo, arrestato nella notte del 19 marzo del 1939 dalla Gestapo, il suo crimine è l'aver firmato un appello contro l'annessione dell'Austria alla Germania. La sua condanna è inevitabile: verrà fucilato alle 9 del 29 marzo 1939. La "giustizia" nazista è velocissima ed implacabile.
Hladìk ha un unico cruccio: non aver abbastanza tempo per riscrivere la sua tragedia I nemici. Gli interessa più la sua fama di scrittore che la sua stessa vita, ma senza tempo non può nemmeno rivedere il suo lavoro.
La sua è una continua lotta con il tempo o l'illusione del tempo che "passa" o non "passa mai". Ingaggia una lotta fatta di sogni e risvegli, di orologi che non smettono il loro ticchettio alla ricerca di un "inceppamento" del tempo, un "ritorno al passato" che lancerebbe un'ombra sul presente ridimensionandolo a semplice illusione. Ed ecco...

Verso l'alba, sognò d'essersi rifugiato in una delle navata della Biblioteca del [il più grande edificio di Praga dopo il palazzo del governo. ndr]. Un bibliotecario dagli occhi neri gli domandò:- Che cerca? - Hladìk rispose: - Cerco Dio -. Il bibliotecario disse:- Dio è in una delle lettere d'una delle pagine d'uno dei quattrocentomila volumi del Clementinum. I miei padri e i padri dei miei padri hanno cercato questa lettera; io sono diventato cieco a cercarla -. Si tolse gli occhiali e Hladìk gli vide gli occhi, che erano morti. Un lettore venne a restituire un atlante.  - Quest'atlante è inutile, - disse, e lo dette a Hladìk. Questi lo aprì a caso. Vide una carta dell'India, vertiginosa. Bruscamente sicuro, toccò una delle lettere più piccole. Una voce che veniva da ogni luogo gli disse:- Il tempo per il tuo lavoro t'è stato concesso-. Qui Hladìk si svegliò.

Inutilmente Hladìk nella sua preghiera nella notte della vigilia della fucilazione chiede a Dio un anno di tempo, ma -"il tempo per il tuo lavoro t'è stato concesso"-. E' già mattino, le guardie svegliano Hladìk e lo conducono davanti al protone di esecuzione, ma sono le 8.44 occorre attendere lo scoccare delle 9. In questi 16 minuti Hladìk rivede la sua tragedia da capo a fondo, " non lavorò per la posterità e neppure per Dio, delle cui preferenze letterarie poco sapeva". Rivede tutto e alla fine gli "mancava di risolvere, ormai, un solo aggettivo. Lo trovò..." la scarica di fucilate lo fulmina. Erano le 9.02.

Pensierino. Otto pagine memorabili


sabato 4 aprile 2020

La bomba e noi

Ho finito di leggere il libro di Enrico Deaglio "La bomba" edito da Feltrinelli.
Parlo prima della forma. Mi è sembrato un libro costruito rapidamente: l'autore sostiene che l'idea è venuta al suo Editor Alessia Dimitri nella primavera del 2018 ed il libro è uscito nel settembre 2019. La mole dei fatti raccontati, dei documenti citati e le molte divagazioni, per altro gustosissime, presuppongono un lavoro enorme che certo non ha trovato l'Autore impreparato, trattandosi di materia che come giornalista ha masticato per tanti anni. Questo affastellarsi di informazioni, nelle quasi 300 pagine del libro, ha un effetto frastornante, anche perché il racconto procede per negazioni: presenta i fatti e la lettura che dei fatti hanno fatto poliziotti, questori, magistrati, servizi segreti ecc ecc e poi la loro completa confutazione. Ci si avvicina sempre di più alla verità, ma per successive approssimazioni. Il testo in alcuni punti è ripetitivo e in altri confuso anche se il lettore è così avvinghiato al racconto che si passa sopra a queste piccole imperfezioni.
Il contenuto. Deaglio ci racconta un'Italia in bilico nella quale da una parte ci sono forze antidemocrati che hanno una precisa strategia golpista trovando nello stato non solo appoggio , ma incoraggiamento e copertura e dall'altra c'è una società civile che ha delle reazioni istintive fortissime (vedi la folla impressionante ai funerali in Duomo delle vittime di Piazza Fontana) che fanno tramontare ogni velleità eversiva. Questa istintività delle risposte popolari però non è in grado di ispirare un'azione politica per far ripristinare uno stato di diritto, nemmeno di assicurare alla giustizia i responsabili di questi gravissimi reati di eversione. Con loro i depistatori, i servitori infedeli dello stato, non solo non sono perseguiti, ma sono regolarmente promossi perché non rispondono alle istituzioni democratiche, ma a poteri che di democratico non hanno nulla.
Un quadro desolante e che ci deve far riflettere. Forse (ma non è detta l'ultima parola) la caduta del muro di Berlino nel 1989 ha cambiato qualcosa, ma ancora troppe sono le ombre. 
Quando parliamo di questi avvenimenti dovremmo tenere sempre ben presenti le ultime 10 pagine del libro di Deaglio che sono una sintesi "affilatissima" a 50 anni della vicenda dell'attentato alla Banca dell'Agricoltura in Piazza Fontana a Milano: tutta quella strategia del golpismo ha segnato almeno 20 anni della nostro "stato arcano" come l'ha chiamato con una buona dose di ottimismo Norberto Bobbio.

Una guida dedicata al mio paese

  Lo scorso anno scolastico ho presentato un progetto alla Scuola secondaria di primo grado (le "medie" di una volta) un progetto ...