Cimentarsi almeno una volta nella vita con i Sonetti di William Shakespeare è inevitabile o forse no. Comunque, con le dovute precauzioni e una buona dose di imprudenza ecco cosa ne ho ricavato. Non parlo del contenuto che vola altissimo su tutta la gamma dei sentimenti e delle passioni umane, ma sulla forma. Mi spiego. Leggo che i Sonetti sono scritti in "14 pentametri giambici disposti in tre quartine in rima alternata più un distico conclusivo in rima baciata". Ok. Si tratta dunque di poesia in rima con una struttura rigida. Subito mi sono chiesto come avessero fatto i traduttori a rendere non solo il senso, ma anche la struttura poetica di quest'opera. Le traduzioni dei Sonetti (iniziate con la prima versione in prosa di Angelo Olivieri del 1890 e dalla prima traduzione in versi del 1897 di Ettore Sanfelice) sono state molteplici e tantissimi autori si sono cimentati come Mario Praz, Gabriele Baldini (con Lucifero Darchini), Pietro Rebora, Eugenio Montale, Giuseppe Ungaretti e più recentemente da Roberto Piumini.
Mi sono divertito a confrontare gli esiti di queste traduzione prendendo due testi considerati tra i più "blasonati": la versione in prosa a cura di Gabriele Baldini con il traduttore Lucifero Darchini e la traduzione poetica di Roberto Piumini.
Devo dichiarare che questo confronto ha avuto un esito categorico: la versione poetica di Roberto Piumini ne esce nettamente vincitrice.
Cerco di dare una spiegazione a questo verdetto.
La versione di Piumini è asciutta, affilata come una lama, si destreggia per mantenere una sonorità del verso e della rima, forse è meno aderente alla testo, ma non ne perde lo spirito. Insomma , non c'è niente da fare, i poeti di capiscono tra loro e, quel che più importa, ci fanno capire meglio.
Sonetto XII (Baldini-Darchini)
Quando conto le ore che segnano il tempo e vedo il valoroso giorno sprofondare nell'orrida notte; quando miro la violetta sfiorita e i riccioli neri inargentati di fili bianchi;
Quando vedo spogli di foglie gli alberi superbi che già furono baldacchino alla greggia durante la calura, e le verdi piante dell'estate, legate in covoni, portate su barelle con barba ispida e bianca,
Allora medito sulla tua bellezza e penso che dovrai andar tra le rovine del tempo, poiché le dolci cose e belle trapassano e muoiono man mano che vedon crescere le altre.
E nulla può difendere dalla falce del tempo, tranne la procreazione di una prole con cui tu ne sfidi il potere pur mentre essa ti toglie di quaggiù.
Sonetto XII (Piumini)
Quando il conto i battiti dell'ora
e vedo il giorno in notte sprofondare,
e la violetta andarsene in malora
e vedo i neri ricci inagentare,
e grandi piante perdere foglie
che furono freschezza per gli armenti,
e il verde che in mazzi si raccoglie
sui carri, in barbe pallide e pungenti,
allora penso alla tua bellezza,
a te che alla rovina devi andare,
giacché si sciupa ogni cara dolcezza,
morendo quando una nuova appare,
e solo avere figli ti difende
dalla falce del Tempo, quando scende.