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giovedì 6 agosto 2015

Viaggio in Sardegna

Lontano dalle spiagge (bellissime e variamente affollate), nell’entroterra assolato, in gran parte brullo e abbandonato in particolare quando ci si inerpica sulle montagne, c’è la Sardegna più segreta e “conservativa”, quella che mantiene salde le tradizioni più arcaiche e primitive. E le custodisce gelosamente. Certo, a prima vista, sembrerebbe che anche paesi dell’Oliastra o del Montiferru, del Sopramonte o del Gennargentu siano stati invasi dai peggiori simboli di consumismo che conosca (i potenti suv con quattro ruote motrici), ma per i contadini/pastori è il mezzo che permette di raggiungere i pascoli, le vigne più lontane e portare la preziosa acqua per abbeverare gli animali. Ma basta guardare i volti dei vecchi seduti (con le loro giacche scure e i pantaloni di velluto pesante) all’ombra delle case in pietra, gli sguardi delle donne che scivolano via per i viottoli con l’acciottolato lucido con i loro fazzoletti neri a coprire il capo, per capire che c’è un mondo diverso tutto da scoprire.
S'Archittu



Mari Ermi


Sa Nughe (la noce) è una antica via romana che attraversava il cratere del vulcano spento da tempo immemorabile e lungo la quale si sono costruite le case a torre in pietra di Santu Lussurgiu: case alte fino a 4 piani, due locali per piano; di fronte , dall’altra parte della strada, la bassa stalla per il ricovero degli animali e degli attrezzi. La casa a torre aveva al piano terreno una cantina nella quale ritirare botti, formaggi e salumi. Al primo e secondo piano stanze con il pavimento in assi di quercia. All’ultimo piano la cucina con il soffitto in canne. La casa era riscaldata d’inverno con grandi bracieri aperti e quindi il fumo doveva poter uscire attraverso il tavolato dei piani e l’incannicciato del soffitto. Le pareti in pietra tenute insieme da una malta povera fatta di sabbia e paglia. Solo le case "signorili" avevano nella pareti delle travi di quercia incrociate per dare sostegno alla casa impastata con una mota che pareva più fango.


Santu Lussurgiu  è adagiato dentro il cratere e quasi per scaramanzia il paese è dominato da un grande cristo con le braccia aperte come un abbraccio protettivo sulle case ammassate intorno ai vicoli stretti. Una specie di Rio del Montiferru.


Più precisamente questa è la parte meridionale del Montiferru, dove i boschi della valle che sale dalle marine di Bosa fino a Cuglieri e poi su seguendo il volo dei grifoni fino ai ruderi del castello di Malaspina. Poi scollinando si arriva fino alla chiesa romanica di San Leonardo presso Macomer: i boschi si diradano via via per lasciare il posto ai sughereti, agli uliveti, ai vigneti ed ai pascoli.
Entrata podere delle arance tra Narbolia e Riola

Macomere

Risalire da Bosa Marina addentrandosi all'interno fino a raggiungere Tresnuraghe e poi Cuglieri e la sua bianca chiesa che si affaccia, imponente, verso il mare, è una di quelle esperienze che ci fanno rappacificare con l'ambiente, con i suoi ritmi, i suoi prodotti ricchi di sapori: i vini (primo tra tutti il profumatissimo e corposo Malvasia di Bosa) ed i formaggi (dal rinomato pecorino fino ai formaggi più caserecci ed alle ricotte e mozzarelle).
Risalendo la valle dopo Cuglieri verso il Castello di Malaspina

Ma l'ambiente è tutt'altro che "incontaminato": ha subito pesanti interventi dell'uomo e non tutti felici. Non parlo delle basi militari che hanno sparso proiettili all'uranio impoverito ovunque (a Macomer c'è aperto un procedimento penale) o alle basi militari americane che hanno letteralmente espropriato (inquinandoli con amianto e uranio) angoli incantevoli come la Maddalena; parlo invece del processo "inevitabile" che ha fatto abbandonare l'agricoltura sulle terre meno propizie per trasformare intere aree in pascolo (processo iniziato nei primi anni del '900 e proseguito velocemente lungo metà del secolo scorso). La vendita del latte "rendeva" di più dell'agricoltura e allora... La cosa è andata di pari passo con la privatizzazione delle terre e la costruzione dei famosi fondi chiusi con i loro caratteristici muretti di sassi addirittura sbarrati da cancelli.



L'agricoltura intensiva è stata spostata giù nelle piane: frumento e risaie nell'oristanese, coltivazioni di carciofi e pomodorini un po' ovunque.
Terminata l'agricoltura è finita da queste parti anche la macinatura con i mulini ad acqua e le gualchiere per la lavorazione (follatura) dell’orbace che gravitava intorno ai (rari e sorprendenti) corsi d'acqua.
Sos Molinos

Qualche emozione fotografica, senza parole.






Bonarcado, Santuario di Nostra Signora di Bonacattu VI-VII secolo
La leggenda dei piatti sul frontale della chiesa. Quella vera e quella inventata.

Un pio sacerdote celebrava la Messa il giorno della festa davanti al piccolo altare del Santuario. Appena finita l’Elevazione il sagrestano si disponeva ad andare in giro per raccogliere l’offerta dei fedeli. Li per li non trovò un piatto da usare ed uscito nel piazzale ne chiese uno in prestito ad un venditore di terraglie, che con la sua merce si era accampato vicino al Santuario. Costui però con modi scortesi rifiutò. Ma non tardò a pentirsene: un turbine improvviso spazzò improvvisamente dodici scodelline che andarono ad incastrarsi sul frontone.
***
La processione avanzava lungo le vie del paese. Davanti un chierichetto con l'incenso per aprire la strada al baldacchino con la statua della Madonna, portata a braccia dagli uomini della confraternita in saio bianco e cordone in vita. Dietro il parroco accompagnato da altri preti in abiti da cerimonia , stole rosse, bordate d'oro, lunghe vesti bianche con pizzi. Dietro ancora le "autorità" civili del paese e poi le due file di persone in processione, prima le donne e poi, in fondo, gli uomini.
All'improvviso un passo falso di un membro della confraternita fa inclinare la statua della Madonna che sta per cadere e si leva, alta, una bestemmia: è un commerciante di piatti, confratello della confraternita che ha gridato. Il silenzio intorno si fa pesante e tutti guardano nella direzione della chiesa.
Improvvisamente tutti i dodici migliori piatti del negozio del bestemmiatore volano verso la facciata della chiesa che da quel giorno porta sul frontale questa decorazione.
  

lunedì 4 agosto 2014

S'Accabbadora

Ho sentito parlare per la prima volta di S'Accabbadora solo qualche anno fa, quando, per ragioni che non vi sto a spiegare, ho cominciato a frequentare la Sardegna.

Notte tempo una donna vestita di nero e velata si avvicinava alla casa e bussava alla porta. Era attesa. Anzi era stata chiamata e l'aspettavano. In quella casa c'era un ammalato grave, ma che non "riusciva a morire". Da cosa fosse trattenuto in questo mondo nessuno lo sapeva. Certo doveva essere qualche motivo molto grave, un peccato non confessato o addirittura non perdonato, qualcosa che impediva alla sua coscienza di liberarsi. L'anima dunque rimaneva imprigionato in un corpo che una malattia aveva portato ormai all'estremo e che pure resisteva. Diventare vecchi non è forse l'estremo atto di egoismo ?
La donna velata arrivata nella notte veniva portata nella stanza del moribondo e lasciata sola. Non si conosce nulla di quello che succedesse esattamente dentro. Il rituale prevedeva che qualche giorno prima i parenti avessero allontanato ogni immagine sacra dalla stanza, ogni catenina o anello che il moribondo avesse addosso. 
Quando la donna velata usciva dalla stanza,  la morte aveva compiuto il suo fatale compito e non rimanga che preparare il morto per la sepoltura.

Vedo già qualcuno storcere il naso. Ma a me questo rituale di passaggio arcaico e misterioso pare affascinante e rispettoso. Che poi sia affidato ad una donna (portatrice di vita e donatrice di morte) mi pare di una grandezza simbolica enorme. 

Ho fotografato questa immagine alla fonte di Su Gologone (sulla strada che da Dorgali porta ad Oliena): dalla roccia sorge acqua in abbondanza proveniente (qualcuno sostiene) dal Perù. Non era il luogo ideale per parlare di vita e di morte ? 




sabato 2 agosto 2014

Silenzio profumato

La Sardegna del Golfo di Orosei è terra di granito e selve impenetrabili che partono dal mare, salgono su per aspre scogliere piene di anfratti e grotte, attraversano profonde vallate boscate e poi raggiungono il  Gennargentu. E' quella terra misteriosa chiamata il Sopramonte nei territori di Orgosolo, Urzulei, Dorgali, Baunei, Oliena. 

Gli abitanti se ne sono stati ben lontano dal mare che ha sempre portato un sacco di guai sotto forma di invasori prepotenti e che parlavano lingue sconosciute. Così i paesi antichi non sono sorti sulla riva del mare, ma se ne stanno nascosti oltre le scogliere e sopratutto non visibili dal mare, circondati da pendii protetti da selve che scendono verso la vallata profonda del fiume Cedrino che segna un altro impenetrabile confine del territorio. Così la cultura materiale degli indigeni non è di mare , ma saldamente di terra. In sintesi nessun pescatore e tanti pastori e questo si riflette anche sulla cucina in cui prevale la carne.

E dire che questo mare era ricchissimo di pesce tanto da attirare qui persino i pescatori di Ponza, ma i sardi di queste terre hanno fatto brutte esperienze col mare e, prudentemente, se ne sono stati a distanza. Non bisogna credere che siano pavidi i sardi, anzi, la loro fierezza e coraggio sono proverbiali. Non bisogna fare nemmeno un velato accenno a questo fatto, si andrebbe incontro a furiose discussioni. Loro avevano già un gran d'affare a tenere insieme le tante tribù che si contendevano da epoca immemore il territorio e quindi, come dire, non andava cercando altri guai.
I Savoia hanno sfruttato per queste doti i Granatieri di Sardegna massacrando generazioni di sardi in questa o quella guerra, tra tutte la Prima Mondiale. 
Come non fosse abbastanza, tra il territorio di Urzulei e quello di Orgosolo si apre una profonda (400 metri) fenditura della montagna, uno degli spettacoli più impressionanti di questo territorio: è la gola del Gorroppu che si estende per una lunghezza di 22 km. Intorno a questo orrido (raggiungibile solo a piedi) si estende una foresta che nella sua parte più antica è considerata "primaria", uno dei pochi lembi rimasti in tutta Europa. Si trovano  piante di Leccio, Tasso, Fillirea, Ginepro, Agrifoglio e un'infinità di erbe tra cui molte aromatiche. Una ricchezza inestimabile. 


Quando si entra qui si capisce subito che è un posto speciale per il grandissimo silenzio ormai difficilmente ritrovabile se non in qualche sperduta vallata alpina o appenninica. Un silenzio, questo, molto particolare perché sorprendentemente profumato.

(Fine prima parte)  

sabato 15 settembre 2012

Canzone d'amore sarda (ma va bene ovunque)



"NON POTHO REPOSARE"

TRADUZIONE IN ITALIANO

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Non potho riposare amore ‘e coro,
Non posso riposare amore del mio cuore,

pensende a tie so d’onzi momentu.
perché penso a te ogni momento.

No istes in tristura prenda ‘e oro,
Non essere triste gioiello dorato,

ne in dispiaghere o pensamentu.
né dispiaciuta o preoccupata.

T’assicuro che a tie solu bramo,
Ti assicuro che voglio solo te,

ca t’amo forte t’amo, t’amo e t’amo.
perché ti amo tanto, ti amo, ti amo.

Si m’esser possibile d’anghelu
Se mi fosse possibile,

s’ispiritu invisibile piccabo.
prenderei lo spirito invisibile di un Angelo;

T’assicuro che a tie solu bramo,
Ti assicuro che voglio solo te,

ca t’amo forte t’amo, t’amo e t’amo.
perché ti amo tanto, ti amo, ti amo.

Sas formas
tutte le forme

e furabo dae chelu su sole e sos isteddos
Ruberei dal cielo il sole, le stelle,

e formabo unu mundu bellissimu pro tene,
e creerei Un mondo bellissimo per te,

pro poder dispensare cada bene.
per poterti dare ogni bene

Unu mundu bellissimu pro tene,
Un mondo bellissimo per te,

pro poder dispensare cada bene.
per poterti dare ogni bene

Non potho reposare amore ‘e coro,
Non posso riposare amore del mio cuore,

pensende a tie so d’onzi momentu.
perché penso a te ogni momento.

T’assicuro che a tie solu bramo,
Ti assicuro che voglio solo te,

ca t’amo forte t’amo, t’amo e t’amo.
perché ti amo tanto, ti amo, ti amo.

T’assicuro che a tie solu bramo,
Ti assicuro che voglio solo te,

ca t’amo forte t’amo, t’amo e t’amo
perché ti amo tanto, ti amo, ti amo.


Ad Andrea Parodi (Porto Torres, 18 luglio 1955 – Quartu Sant'Elena, 17 ottobre 2006) era dedicato un bellissimo Museo a Cagliari nell'Antico Palazzo di Città, Piazza Palazzo che ho visitato l'anno scorso. Purtroppo, come capita spesso in Italia, le cose belle vengono accantonate ed al loro posto si preferisce l'insulsaggine e volgarità nella quale siamo immersi.

Per ulteriori informazioni:

sabato 28 aprile 2012

28 aprile. Sa die de sa Sardigna

Sa die de sa Sardigna, (il Giorno della Sardegna in lingua sarda), è una festa istituita dal Consiglio Regionale il 14 settembre 1993 nominandola festa del popolo sardo. La festa vuole ricordare la sommossa del 28 aprile 1794 che costrinse alla fuga da Cagliari il viceré Balbiano, in seguito al rifiuto del governo torinese di soddisfare le richieste dell'allora Regno di Sardegna per riservare ai Sardi le cariche pubbliche, un Consiglio di Stato a Cagliari, vicino alla sede del Viceré e l'istituzione a Torino di un Ministero per gli affari della Sardegna.

venerdì 2 settembre 2011

Capitan de Catin (ultimo). Gli insetti di Sardegna studiati da un milanese

Il nome di Giuseppe Cedrati (detto Genè) certamente è sconosciuto ai più. Si tratta di uno studioso nato nel 1800 in un piccolo paese della provincia vicino al mio (Turbigo). Il padre faceva il Fattore  nella nobile casa degli Erba-Odescalchi e ebbe la fortuna di essere avviato agli studi. A 16 anni si trasferì per gli studi a Pavia e lì fu colto, oltre che da una grave malattia, dall'amore per la storia naturale ed in particolare per gli insetti. Laureatosi a 21 anni, si ritirò per i successivi sei nella casa paterna ad approfondire i suoi studi e a 26 anni fu chiamato come assistente alla cattedra di Storia Naturale nell'Università di Pavia e, successivamente nel 1830, a dirigere il Museo di Torino.
Che c'entra Giuseppe Cedrati con la Sardegna? Carlo Alberto gli diede l'incarico di fare studi sulla fauna e sulla flora di Sardegna e Cedrati con l'aiuto di Alberto Lamarmora (fratello del generale) fece alcune "campagne". Suo è uno studio sul Falco della regina (Eleonora) e l'individuazione di ben 56 specie nuove di insetti.
L'opera più "famosa" di Giuseppe Cedrati è Pregiudizi popolari sugli animali e c'è uno scritto del nostro anche sui pesci del Ticino con tanto di voci dialettali.

Ora Carlo Alberto era un sovrano alquanto autoritario, certo non amava quelli che andavano dicendo che la monarchia doveva essere abbattuta (e come si può dargli torto) e per questo aveva condannato a morte vari personaggi tra cui Giuseppe Mazzini, ma questo fatto che finanzi una "spedizione" naturalistica per studiare fauna e flora della Sardegna me lo rende simpatico...
Fate un (azzardato) confronto con la nostra classe dirigente d'oggi: pensate che possano fare una sola cosa che non sia per tornaconto personale?

E questa è l'ultima "coincidenza" trovata tra due terre lontane e tanto diverse...

PS Chi fosse curioso, può trovare il libro di Giuseppe Cedrati citato su Google Books

sabato 20 agosto 2011

Capitan de catin (2) : le risaie sarde

Il campeggio è posizionato nella pineta che da Torre Grande scende giù fino al porto di Oristano. Una mattina decido di prendere la bici e fare un giro nei dintorni per capire com'è il posto. La strada asfaltata corre parallela alla spiaggia a 300 metri dal mare. Subito fuori dal campeggio vedo una indicazione di un grand Hotel e mi dirigo all'interno della campagna verso Cabras. Ed ecco la prima sorpresa (e coincidenza) : dietro una piccola macchia che divide la strada dai campi, una risaia ormai quasi in "asciutta", in attesa del raccolto di fine agosto, inizio settembre.  Mi sono detto "sono a casa mia" , le risaie fanno parte del mio panorama abituale e con loro l'amato airone. Vabbè qui si danno un po' più di arie perché nelle lagune di Cabras si possono ammirare anche i fenicotteri rosa, ma la Sardegna dovrà pure fare bella figura rispetto al novarese e vercellese...

mercoledì 17 agosto 2011

Capitan de catin è tornato (temporaneamente)

Dunque il viaggio in Sardegna.
Per chi parte l'atteggiamento è sempre ambiguo: c'è la voglia di "staccare" e c'è insita nel partire la voglia di tornare. Almeno , non vorrei generalizzare, questo è quello che provo io. Essendo un Capitan de catin non potrebbe essere altrimenti: forse è l'abitudine a panorami ristretti dalle nebbie o la pianura che non consente molte prospettive se non quella di guardare qualcosa di molto lontano ed irraggiungibile (il mitico Monte Rosa).
La preparazione della valigia è stato il primo sintomo che qualcosa stava cambiando: qualche giorno prima avevo portato su dalla cantina la valigia rossa delle vacanze sistemandola su una sedia in camera. Con mio sommo stupore, una sera l'ho trovata "perfettamente" fatta: la badante di mia madre aveva pensato di "assistere" anche me. Ho soprasseduto, anche perché la scelta delle poche cose da portare per rimanere nei fatidici 8 Kg consentiti dalle compagnie aeree mi avrebbe costretto a scelte troppo drastiche per me. In ogni caso, all'ultimo momento, ho dovuto rinunciare alle mie nuove scarpette da trekking e la cosa mi ha contrariato non poco.
Tra gli oggetti che non potevano mancare c'era, naturalmente, la macchina fotografica "piccolina e digitale" ed ho curato la carica della batteria perché non mi mollasse sul più bello.
Partenza da Linate e arrivo a Cagliari. Poi il trasferimento in un camping sul golfo di Oristano verso le lagune di Cabras. E questa la mattina successiva è la prima immagine...


Ma non vorrei illudervi oltre. Questa è una foto col telefonino. Quando ho estratto la macchina fotografica digitale dalla valigia mi sono accorto, con grande disappunto, di aver lasciato la pila a casa, carichissima...

Ora devo dire che la Sardegna mi ha portato molte sorprese: la più sorprendente è stata che non è poi così lontana da noi... Vi spiegherò poi perché sono arrivato a questa conclusione.

(Continua)

martedì 2 agosto 2011

Senza parole (o quasi)

Ora tocca a me...il Capitan de catin esce dal suo catino e va nella tinozza...


Mi sarebbe piaciuto mettere un piccolo estratto del libro di Claudio Magris "L'infinito viaggiare" (Oscar Mondadori). In particolare della prefazione, in cui spiega le motivazioni del viaggio o del "non viaggio", avrei voluto pubblicare due pagine  (la XX e XXI), ma un disguido con il mio programma OCR non mi permette di condividere questa lettura con i miei (pochi) lettori. Se vi capita di comprare questo libro, già  solo la prefazione vale la pena...

Arrivederci a dopo ferragosto, tornerò carico di foto, pensierini e poesie...

mercoledì 8 settembre 2010

I venti di Mario Vargas Llosa

 Il protagonista di questo libretto di Vargas Llosa si reca una mattina con l'amico Osorio ad una manifestazione contro la chiusura di u...