mercoledì 26 agosto 2020

sabato 22 agosto 2020

Piccolo mondo antico, congelato

Vistare la Villa sul Lago Ceresio Fogazzaro Roi oggi di proprietà del FAI, è come entrare in un altro mondo (antico), un mondo congelato per volontà del suo ultimo proprietario il Marchese Giuseppe Roi pronipote dello scrittore Antonio Fogazzaro . In modo maniacale il Marchese ha lasciato nel suo testamento le disposizioni per la conservazione della villa con la descrizione di tutti gli oggetti e la loro posizione persino seguendo l'alternarsi delle stagioni: le foto, le immagini di famiglia, gli oggetti d'uso quotidiano, persino i cappotti appesi in anticamera, tutto è rimasto "fermo". Pare, con le dovute proporzioni, di essere al Vittoriale di Gabriele D'Annunzio sul lago di Garda ed invece si è sull'ultima propaggine del lago Ceresio a due passi da Lugano.

Tutta questa cura della casa era finalizzata ad ospitare amici e conoscenti, mentre per Antonio Fogazzaro è servita per ospitare i personaggio dei suoi romanzi.

La parte più bella è sicuramente il giardino su più livelli affacciato sul lago e sulla piccola piazza della chiesa.












 Come arrivarci ? L'indirizzo è questo Via Antonio Fogazzaro, 14, 22010 Oria CO. 

domenica 16 agosto 2020

La storiella psichiatrica dell'uomo che si credeva morto






James Hillman in La vana fuga dagli dei riporta quella che lui chiama una "storiella psichiatrica" che esemplifica cosa significa paranoia. 

Per esempio, ecco una classica storiella psichiatrica. Un uomo è convinto di essere morto. Dice a familiari: « Sono morto» e i familiari lo mandano da uno specialista. Subito tra medico e paziente incomincia un'accanita discussione. Il medico fa appello ai sentimenti dell'uomo verso la vita, verso la famiglia. Poi prova a farlo ragionare, dimostrandogli l'intrinseca contraddizione di una frase come « Sono morto » : i morti non sono in grado di dire che sono morti, perché è appunto in questo che consiste l'essere morti. Alla fine il medico ricorre all'evidenza dei sensi. Domanda all'uomo: « I morti sanguinano? « Certo che no » risponde l'uomo, spazientito dall'ottusa dabbenaggine della mente dei medici. «Lo sanno tutti che i morti non sanguinano».
Al che il medico gli punge un dito. Ne esce una goccia di sangue. « Ma guarda un po', chi l'avrebbe mai detto » esclama l'uomo. « I morti sanguinano, eccome ».
Incorreggibile. Le percezioni e i ragionamenti confermano, anziché contraddirla, l'idea di essere morto.

Pensierino. Provate a trasporre questa storiella e tramutatela da "psichiatrica" in "politica" e scoprirete che ci sono chiare assonanze: tanti si credono quello che non sono. Sono talmente convinti che ad ogni smascheramento si incaponiscono a credere e a far credere di essere altro che paranoici. Il problema è che sono circondati da ciechi e sordi fans che invece di invitarli ad andare dallo psichiatra, li osannano.


venerdì 14 agosto 2020

Muri

 


Pensierino. C'è sempre qualche muro nella vita che si para davanti. Non sempre è un ostacolo: può segnare un limite non valicabile, certo, ma può essere anche una méta da raggiungere, un riparo dal vento, un luogo d'incontro per quelli che stanno al di qua, una difesa da quelli che stanno al di là. Non lo vedo come un limite, ma come un segnale, un qualcosa che ti impone di fermarti, di guardare e cercare di capire. 

sabato 8 agosto 2020

Il vulcano è morto

 Non appena le ombre della sera strisciavano lungo i

muri, e il grande soffio nero del mare spegneva le verdi

foglie degli alberi e le rosse facciate delle case, una folla

squallida, lenta, tacita, sbucava dai mille vicoli di Toledo

e invadeva la piazza. Era la mitica, antica, miseranda folla

napoletana: ma qualcosa in lei era spento, la gioia della

fame, perfino la sua miseria era triste, pallida, spenta. La

sera saliva a poco a poco dal mare, e la folla alzava gli oc-

chi rossi di lacrime mirando il Vesuvio sorgere bianco,

freddo, spettrale contro il cielo nero. Non il più lieve ali-

to di fumo si levava dalla bocca del cratere, non il più te-

nue bagliore di fuoco accendeva l'alta fronte del vulca-

no. La folla sostava muta per ore e ore, fin nel cuor della

notte: poi si disperdeva in silenzio.

Rimasti soli nell'immensa piazza, davanti al mare la-

stricato di nero, Jimmy ed io ce ne andavamo voltandoci

ogni tanto a guardare il grande cadavere bianco che si

disfaceva lentamente nella notte, in fondo all'orizzonte.

Nell'aprile del 1944, dopo aver per giorni e giorni

squassato la terra e vomitato torrenti di fuoco, il Vesuvio

si era spento, Non si era spento a poco a poco, ma d'un

ù•atto: avvoltasi la fronte in un sudario di fredde nuvole,

aveva gettato all'improvviso un gran grido, e il gelo della

morte aveva impietrito le sue vene di lava ardente. Il Dio

di Napoli, il totem del popolo napoletano, era morto.

Un immenso velo di crespo nero era sceso sulla città, sul

golfo, sulla collina di Posillipo. La gente camminava per

le strade in punta di piedi, parlando a voce bassa, come

se in ogni casa giacesse un morto.

Un lugubre silenzio gravava sulla città in lutto: la voce

di Napoli, l'antica, nobile voce della fame, della pietà,

del dolore, della gioia, dell'amore, l'alta, rauca, sonora,

allegra, trionfante voce di Napoli, era spenta. E se talvol-

ta il fuoco del sole al tramonto, o l'argenteo riflesso della

luna, o un raggio del sole nascente parevano accendere

il bianco spettro del vulcano, un grido, un grido altissi-

mo, come di donna in doglia, si alzava dalla città. 

(Curzio Malaparte, La pelle, Gli Adelphi)


Pensierino. Si conclude il peregrinare di Malaparte al seguito delle truppe americane che da Napoli risalgono al nord. Malaparte ritorna col suo amico Jmmy a Napoli per accompagnarlo all'imbarco verso casa, negli USA. E' l'ultimo amico che gli è rimasto, gli altri sono tutti morti durante i 18 mesi dall'entrata degli Alleati a Napoli il 1 ottobre del 1943. 


giovedì 6 agosto 2020

Socrate bevve la cicuta e per lui parlò Santippe

Ma Socrate bevve la cicuta senza aprire bocca. Parlò per lui Santippe. «Siracusani! Avete assistito alla morte di un uomo da cui vi aspettavate parole grandi, profonde, un discorso sul senso della morte, magari qualche rivelazione su quel che attende noi tutti nell'aldilà. Siete rimasti delusi. Socrate ha taciuto. Al posto suo ora vi parlo io, Santippe. Socrate era mio marito, e il suo silenzio mi dà il diritto di parlare in un mondo dove le donne altrimenti tacciono, tanto più che mi rivolgo a esseri nati da donne; questa è l'unica certezza, chiunque sa chi è la propria madre, fosse anche una prostituta. E il padre? Per molti di voi è ignoto. Si vive, in tempo di pace, in un mondo di adulteri, spesso vostra madre è l'unica che conosce vostro padre. Mentre in tempo di guerra si vive in un mondo di stupri, allora nemmeno vostra madre sa chi sia vostro padre e per lo più si vive in tempo di guerra. Così ora non so se sto parlando a siracusani, cartaginesi od oschi, d'altronde ci sono domande che restano senza risposta. Questo lo sapeva anche Socrate. Non che ci fossero domande cui non sapesse rispondere, per esempio se fosse un buono scultore o meno: separò la propria strada da quella della scultura, e cosi avrebbero fatto anche altri, se solo si fossero posti il problema. Anche alla domanda su quale vino fosse il migliore e a cosa si dovesse accompagnare Socrate sapeva rispondere, ma soprattutto sapeva essere se stesso. Socrate rimase sempre Socrate, capacità che possiedono ben pochi, prima sono bambini, poi diventano uomini, e quando sono diventati uomini si trasformano in politici, condottieri, poeti, eroi o altro, non sono mai se stessi. Non sono più uomini, sono semplici ruoli, mentre noi donne rimaniamo donne quando diventiamo madri, etere o prostitute. Socrate non si atteggiava a Socrate, fu quel che era sempre stato, Socrate. Sapeva di non sapere, per questo chiedeva a chiunque cosa sapesse. Lo chiedeva ad artigiani, filosofi, astronomi, politici, chiedeva e chiedeva, e nessuno era mai in grado di rispondere, nessuno fra gli artigiani, filosofi, astronomi e politici: si trovava sempre di fronte al mare sconfinato del non sapere, dove sfociano tutte le domande e dove non ha più senso domandare, perché quanto più si cerca di sapere, tanto più incommensurabile diviene questo mare. Era convinto che fosse meglio subire un'ingiustizia che compierla. Per questo non faceva nulla. Era di una pigrizia divina. Si teneva al fuori delle cose, preferiva starsene in disparte. Per lui l'essere era tutto, il sapere era il nulla. Seguiva con lo sguardo ogni etera, ogni fanciullo. Gli piaceva il buon cibo e beveva volentieri. E ha fatto ubriacare il vostro tiranno, ha retto il vino meglio di lui. Per questo ha dovuto morire. Ha accettato serenamente il verdetto di morte. Nulla da obiettare. Uno scotto da pagare per avere retto l'alcol. Chiunque avesse bevuto come lui sarebbe morto da tempo di cirrosi. Ha bevuto serenamente la cicuta. Se l'è meritata. Socrate è morto da Socrate. Sono orgogliosa di essere stata sua moglie. Siracusani, ora prendo congedo da voi. Prendo con me Platone. L'ho riscattato con i proventi del negozio di antiquariato aperto grazie a Socrate, e anche alla sua capacità di reggere l'alcol. Platone è il primo pezzo del mio nuovo negozio. Lo rivenderò al doppio del prezzo a cui l'ho acquistato qui. E un originale. Crede di sapere. Ha descritto Socrate prendendo a modello se stesso: un Socrate che non sapeva di non sapere nulla. Salute a voi».

Pensierino. Taccio ascoltando Santippe.

lunedì 3 agosto 2020

Nella terra dei Gattopardi

«Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi.», così scriveva Giuseppe Tomasi di Lampedusa ne "Il Gattopardo". In questo paese di "Gattopardi" abbiamo preso la scorciatoia: non cambiamo niente da subito.


Una guida dedicata al mio paese

  Lo scorso anno scolastico ho presentato un progetto alla Scuola secondaria di primo grado (le "medie" di una volta) un progetto ...