mercoledì 23 dicembre 2020

È il coraggio che in fondo è indecente


Quando vai dietro a una sepoltura, ti fanno tutti delle grandi scappellate. Quello fa piacere. Allora è il momento di comportarsi bene, di avere l'aria a posto, di non scherzare ad alta voce, di rallegrarsi solo nell'intimo. È permesso. Tutto è permesso, nell'intimo. In tempo di guerra, invece di ballare nell'ammezzato, si ballava in cantina. I combattenti lo tolleravano, e, meglio ancora, gli piaceva. Lo chiedevano appena arrivati e nessuno trovava indecenti questi modi. È il coraggio che in fondo è indecente. Fare coraggiosi col proprio corpo? Chiedete un po' anche al verme di essere coraggioso, è roseo, pallido e molle, come tutti noi. 

Non si perde gran che quando brucia la casa del padrone. Ne verrà sempre un altro, se non è sempre lo stesso, tedesco o francese) o inglese o cinese, per presentarti, vero?, il conto al momento giusto... In marchi o franchi? Dal momento che bisogna pagare...

Allora mi sono ammalato, febbricitante, diventato matto, hanno spiegato loro all'ospedale, per la paura. Era possibile. La miglior cosa che puoi fare, no?, quando sei a 'sto mondo, è di uscirne. Matto o no, paura o no.

(Céline, Viaggio al termine della notte, La biblioteca di Repubblica, 2002, Traduzione di Ernesto Ferrero) 

Pensierino. Matto o no, la paura o no, il medico Bardamu è buttato nella mischia della Grande Guerra, con la morte che lo tampina dapprèsso. Persino la morte pare non sia uguale per tutti: c'è sempre chi anche da questa disgrazia ne esce indenne e vincitore, su qualunque fronte si trovi. Feroce la critica di Céline della guerra, lontana anni luce dalle celebrazioni trionfalistiche, dalla retorica di un patriottismo (leggi nazionalismo) che ha solo prodotto disastri in ogni parte del mondo. Chi la guerra l'ha fatta nelle trincee ricorda solo freddo, fame e paura, gli altri "sui letti di lana" (come canta "Gorizia") hanno dato un'altra versione.   

    

giovedì 3 dicembre 2020

Un nuovo libro

 E' uscito per i tipi de ilmiolibro.it il mio nuovo libro. Si trova nella versione cartacea o come eBook.


Per cominciare...

Questo lavoro di ricerca è stato ispirato dalla Pandemia Covid-19 che ha colpito il mondo intero a partire da Febbraio del 2020. Si è voluto cercare un precedente storico altrettanto significativo e lo si è trovato nella Pandemia comunemente chiamata “spagnola” che ha interessato l'Italia in successive ondate a partire dalla primavera del 1918, per poi ripresentarsi in modo virulento a settembre fino a dicembre dello stesso anno con strascichi nella primavera del 1919; gli ultimi casi si sono poi registrati fino a Marzo del 1920.

La “spagnola” è stata una Pandemia che contagiò tutto il mondo, arrivando persino nelle più sperdute isole del Pacifico e del Mar Glaciale Artico. Ancora oggi è difficile stabilire quanti siano stati i contagiati soprattutto perché in alcune aree come il Medio Oriente e l'Asia si sono fatte solo delle stime e comunque molte fonti parlano di un miliardo di persone che si sono ammalate di “spagnola”. I morti furono (anche qui sono stime) dai 17 ai 50 milioni (tra il 2,5 e il 5 per cento della popolazione mondiale), per avere un raffronto, sono più delle vittime della Prima Guerra Mondiale (17 milioni di morti) ma anche si avvicinano ai morti della Seconda Guerra Mondiale (60 milioni). In Italia si stimano tra le 375mila e le 650mila vittime. La “spagnola” rimane, insieme alla “peste nera” che colpì anche l'Italia a partire dal 1347, tra le epidemie mondiali più letali della storia.


lunedì 16 novembre 2020

Ciò che ho scritto di noi è tutta una bugia/verità


Ciò che ho scritto di noi

Ciò che ho scritto di noi è tutta una bugia

è la mia nostalgia

cresciuta sul ramo inaccessibile

è la mia sete

tirata su dal pozzo dei miei sogni

è il disegno

tracciato su un raggio di sole

ciò che ho scritto di noi è tutta verità

è la tua grazia

cesta colma di frutti rovesciata sull’erba

è la tua assenza

quando divento l’ultima luce all’ultimo angolo della via

è la mia gelosia

quando corro di notte fra i treni con gli occhi bendati

è la mia felicità

fiume soleggiato che irrompe sulle dighe

ciò che ho scritto di noi è tutta una bugia

ciò che ho scritto di noi è tutta verità.


Nazim Hikmet,



Pensierino. C'è sempre qualcosa di ambiguo nell'amore. Ciò che all'impronta fa innamorare è la stessa cosa che fa disamorare. E' la nostalgia di un sentimento idealizzato che ci fa prendere degli abbagli.



giovedì 12 novembre 2020

Un moderno Chisciotte

Chisciotte, nella versione moderna di Antonio Moresco, è ricoverato in un manicomio, e per controllare la sua irrequietezza il Direttore della struttura gli mette alle costole un improbabile infermiere di nome (nauralmente) Sancio. Chisciotte la prende malissimo. Sancio gli pare (ed è) un emarginato. Chisciotte lo osserva e vede un ragazzone con "un cespuglio di capelli sopra la testa, i piercing, i tatuaggi scemi, la cintura dei jeans bassa da cui spunta un ciuffo di peli pubici".  

Eppure...

«Visto che mi è stato dato in sorte questo miserrimo e abominevole compagno di viaggio,» dice all'improvviso, a bassa voce, nella penombra «proverò lo stesso ad aprire il mio cuore a lui...»

Si interrompe per un istante, poi riprende: «Perché il mio cuore è troppo colmo e a qualcuno devo pur aprirlo, anche a costo di farlo con una simile bruttura, un simile scempio umano senza speranza...».

Lui Chisciotte è qui prigioniero, ma all'improvviso trova in una stanza attigua al suo reparto una ricoverata in ortopedia ingessata dalla testa ai piedi che lui riconosce essere Dulcinea. Ma poi riconosce in altri ricoverati i letterati di tante epoche bistrattati ed emarginati, ma che formano un esercito resistente ad un mondo che sta per crollare.

Antonio Moresco, Chisciotte, SEM, 2020

  

mercoledì 28 ottobre 2020

Erano, quelle, notti di pericoli e di spaventi.

Nel tempo che gli eserciti alleati, a causa dell'inverno, sostavano al di là del fiume Garigliano,
io vivevo rifugiata in cima a una montagna, al di qua del fiume. Un giorno, per la salvezza di persone che amavo, fui costretta ad un breve viaggio a Roma. Era un amaro viaggio, poiché Roma, la citta dove nacqui e dove ho sempre vissuto, era per me in quel tempo una città nemica. Il treno partiva la mattina presto. Io scesi dalla montagna il pomeriggio del giorno avanti per trovarmi in pianura prima che facesse buio; dovevo trascorrere una notte in pianura e all'alba avviarmi verso la più vicina stazione. Trovai ricovero per la notte presso la famiglia di un carrettiere di nome Giuseppe. L'abitazione di Giuseppe si componeva di tre capanne: una faceva da riparo all'asino e al carretto, nell'altra dormiva Giuseppe con la moglie Marietta e le tre bambine, e nella terza si cucinava, sopra un fuoco di legna acceso in terra, Fu deciso che le due ragazzine maggiori mi avrebbero ceduto il loro letto, e avrebbero dormito nel letto matrimoniale, con la madre e la bambina lattante. Quanto a Giuseppe, si adattò volentieri a dormire in cucina, sopra un mucchio di paglia. Erano, quelle, notti di pericoli e di spaventi.

Elsa Morante, Il soldato siciliano, in Lo scialle andaluso, Einaudi

Pensierino. Chissà perché il racconto è stato sempre considerato letteratura "minore". Eppure leggendo questa classica raccolta di Elsa Morante (Lo scialle andaluso, appunto) ci si trova di fronte a delle vere opere d'arte, in miniatura se volete, ma certo con tutti gli elementi di una grande letteratura.

Forse il mio giudizio è un po' condizionato per l'amore verso il racconto breve, ma vi assicuro che condensare il poche pagine una trama, con i suoi sviluppi, i personaggi e le atmosfere non è cosa da tutti. 

La maggior parte di questi e di altri racconti di Elsa Morante è stata pubblicata anche su riviste come Il Corriere dei Piccoli, Oggi, L'Europeo e la considero una grande fortuna per i lettori di quelle riviste.

martedì 20 ottobre 2020

Paese

---Paés paés ---


di Elio Pisoni




Paés paés

Paés paés

tré cö un paés

da bocia t'ho lasòo

da végiu sun turnòo

a stòla a mé casina ho cercòo

ma nanca a cò ho pü truòo.

Citò citò scurtés

dòmi indrée ul mé paés

paées curtés.





Paese paese

tre case un paese

da ragazzo ti ho lasciato

da vecchio son tornato

la stalla, la mia cascina ho cercato

ma neanche la casa ho trovato.

Città città scortese

dammi indietro il mio paese

paese cortese.

giovedì 24 settembre 2020

Correva l'anno 1969. In ricordo di Virginio Bettini

Correva l'anno 1969 ed io, uscito da un anonimo Istituto Tecnico della provincia, guardavo ad altro e cercavo la mia rivincita nei confronti di quel gretto tecnicismo che ci avevano propinato, iscrivendo a lettere alla Statale di Milano. Ma anche lì cercavamo sempre cose che ci potessero dire qualcosa di più di noi stessi e del mondo che si muoveva intorno tumultuosamente. Eravamo rimasti ai margini anche per queste scelte, estranei ai movimenti di lotta, stranieri in visita in Città due volte la settimana. Un improbabile corso di psicologia al Politecnico (chissà come finito lì) ci aveva attratti e con due amici avevamo cominciato a frequentarlo. Una sera a settimana poi eravamo noi che spiegavamo ad un gruppo di amici a casa le "scoperte" che avevamo fatto. C'era questa voglia di condivisione e di trasmissione di un sapere di cui tutti avevamo "fame", una fame indistinta, una specie di "voglia".

Alla Statale avevo presentato un Piano di studi tutto incentrato su storia e scienze naturali. Il primo corso fu quello di Geografia Umana e lì ho conosciuto l'Assistente Virginio Bettini.

Con lui ho fatto l’esame. L’anno dopo sarebbe andato a Venezia per aver vinto il concorso per la prima cattedra in Ecologia italiana. Avevo portato come tesina per l’esame una ricerca sui depuratori del Consorzio del Magentino (poi apparsa su una rivista di cui non ricordo il nome, forse Ecologia) e non avevo nemmeno letto i libri che mi aveva consigliato (testi in francese e inglese). Malgrado ciò mi dette 30 per “incoraggiamento”. Pochi mesi dopo abbandonavo l’Università per tornare a fare il chimico. Questo ricordo ho avuto modo di rinverdirlo quando ci siamo trovati un giorno con lui a casa di una amica due anni fa per parlare dell’impatto ambientale della Cava di Casorezzo. Naturalmente non si ricordava dell’episodio, ero uno dei tanti studenti di quel ateneo che viveva un momento davvero turbolento, ma a me quel incoraggiamento ha lasciato una bella impronta. Grazie prof. Bettini.


PS Virginio Bettini, già docente di Analisi e Valutazione Ambientale e di Ecologia del paesaggio presso l’Università IUAV di Venezia dal 1971 al 2012. Una vita spesa nell’impegno e nell’attivismo ecopacifista negli anni ’70, in collaborazione con Barry Commoner della Washington University di St. Luois, Missouri e della New York University, Larry Canter della Oklahoma State University di Norman e Leonard Ortolano della Stanford University.

La sua è stata una vita di studio, ricerca e attivismo ecologista e sociale.

Nel 1970 era negli USA con Barry Commoner di cui tradusse in italiano il fondamentale libro “Il cerchio da chiudere” e con lui pubblicò a doppia firma “Ecologia e lotte sociali” nel 1976. Insieme andarono in Vietnam per denunciare i disastri causati dalla guerra chimica USA. 

Tra le sue innumerevoli attività, portò al Parlamento Europeo testimoniamza sulla incredibile lotta vittoriosa del presidio alla Cava Sant’Antonio di Buscate che diede l’avvio alla raccolta differenziata in Lombardia,  fu aiuto insostituibile con Alexxander Langer nell’impedire con noi, le trivellazioni petrolifere a Castelletto di Cuggiono facendo esprimere all’unanimità gli europarlamentari italiani a nostro favore. 

Nel 1998 fu tra i fondatori dell’Ecoistituto della Valle del Ticino di Cuggiono, elaborò per i comuni del territorio la Valutazione di Impatto ambientale autogestita di Malpensa 2000.

Il Prof. Virginio Bettini è morto ieri nella sua casa di Nova Milnaese.

venerdì 18 settembre 2020

La barba del Manzoni

Con la sua solita leggerezza e ironia Roberto Piumini ci accompagna il questo che si potrebbe chiamare un proto - Promessi Sposi nel quale però figura tra i personaggio un certo Alessandro Manzoni che per ripicca (scherzosa) dell'autore diventa uno scultore pazzo presto relegato in manicomio.

La blasfemia di Piumini nei confronti di uno dei mostri sacri della letteratura italiana è completata dal racconto che saccheggia i personaggi del più famoso (e odiato) romanzo italiano deragliando la vicenda su spassose nuove situazioni. Piumini rimane fedele solo ai personaggi che mantengono le caratteristiche psicologiche originarie: il pauroso Don Abbondio, l'intrigante Perpetua, la pura Lucia, l'irruente Renzo, i crudeli e prepotenti bravi e l'integro e santo Fra Cristoforo. 

Nella post fazione, l'affondo:

Torniamo, per concludere, al peggio: che l'opera del Manzoni (quello in carne, ossa e basette) sia spacciata, e tuttora creduta, precedente al mio lavoro, dimostra compiutamente quanta menzogna, impunità e ingenuità, sia nel nostro mondo, e ancor più, considerando come molti avidi e omertosi editori l'hanno ammannita a generazioni di studenti.


Pensierino/citazione. 

Si sa che l'invecchiamento è lento, continuo, infinitesimale, avviene giorno dopo giorno, ora dopo ora: ma capitano momenti in cui, per qualcosa d'accaduto, o per nulla, fa un passo brusco, come si fosse rotto un argine che, per qualche tempo, l'aveva trattenuto, accumulato, nello spirito e nel corpo. Dopo tutti gli arrivi, spaventi, traffici, spavalderie, minacce, malattie, ansie, messe sconsacrate e sante reprimende, è accaduto oggi a Perpetua. Rimasta sé stessa, se tuttavia una prossima sera venisse uno a far la serenata, lei non gli risponderebbe come ha risposto al Beccanuca: brusca del suo, ma con quel velo, quel refolo di tenerezza e speranza. Sopra lo spasimante, chiunque possa essere, qualunque parola dica o canzone canti, la finestra di Perpetua rimarrà sorda, chiusa e muta.


martedì 8 settembre 2020

Da niente

 


Un niente perduto in un giardino, eppure apre orizzonti incredibili, prospettive nuove ed affascinanti.

mercoledì 26 agosto 2020

sabato 22 agosto 2020

Piccolo mondo antico, congelato

Vistare la Villa sul Lago Ceresio Fogazzaro Roi oggi di proprietà del FAI, è come entrare in un altro mondo (antico), un mondo congelato per volontà del suo ultimo proprietario il Marchese Giuseppe Roi pronipote dello scrittore Antonio Fogazzaro . In modo maniacale il Marchese ha lasciato nel suo testamento le disposizioni per la conservazione della villa con la descrizione di tutti gli oggetti e la loro posizione persino seguendo l'alternarsi delle stagioni: le foto, le immagini di famiglia, gli oggetti d'uso quotidiano, persino i cappotti appesi in anticamera, tutto è rimasto "fermo". Pare, con le dovute proporzioni, di essere al Vittoriale di Gabriele D'Annunzio sul lago di Garda ed invece si è sull'ultima propaggine del lago Ceresio a due passi da Lugano.

Tutta questa cura della casa era finalizzata ad ospitare amici e conoscenti, mentre per Antonio Fogazzaro è servita per ospitare i personaggio dei suoi romanzi.

La parte più bella è sicuramente il giardino su più livelli affacciato sul lago e sulla piccola piazza della chiesa.












 Come arrivarci ? L'indirizzo è questo Via Antonio Fogazzaro, 14, 22010 Oria CO. 

domenica 16 agosto 2020

La storiella psichiatrica dell'uomo che si credeva morto






James Hillman in La vana fuga dagli dei riporta quella che lui chiama una "storiella psichiatrica" che esemplifica cosa significa paranoia. 

Per esempio, ecco una classica storiella psichiatrica. Un uomo è convinto di essere morto. Dice a familiari: « Sono morto» e i familiari lo mandano da uno specialista. Subito tra medico e paziente incomincia un'accanita discussione. Il medico fa appello ai sentimenti dell'uomo verso la vita, verso la famiglia. Poi prova a farlo ragionare, dimostrandogli l'intrinseca contraddizione di una frase come « Sono morto » : i morti non sono in grado di dire che sono morti, perché è appunto in questo che consiste l'essere morti. Alla fine il medico ricorre all'evidenza dei sensi. Domanda all'uomo: « I morti sanguinano? « Certo che no » risponde l'uomo, spazientito dall'ottusa dabbenaggine della mente dei medici. «Lo sanno tutti che i morti non sanguinano».
Al che il medico gli punge un dito. Ne esce una goccia di sangue. « Ma guarda un po', chi l'avrebbe mai detto » esclama l'uomo. « I morti sanguinano, eccome ».
Incorreggibile. Le percezioni e i ragionamenti confermano, anziché contraddirla, l'idea di essere morto.

Pensierino. Provate a trasporre questa storiella e tramutatela da "psichiatrica" in "politica" e scoprirete che ci sono chiare assonanze: tanti si credono quello che non sono. Sono talmente convinti che ad ogni smascheramento si incaponiscono a credere e a far credere di essere altro che paranoici. Il problema è che sono circondati da ciechi e sordi fans che invece di invitarli ad andare dallo psichiatra, li osannano.


venerdì 14 agosto 2020

Muri

 


Pensierino. C'è sempre qualche muro nella vita che si para davanti. Non sempre è un ostacolo: può segnare un limite non valicabile, certo, ma può essere anche una méta da raggiungere, un riparo dal vento, un luogo d'incontro per quelli che stanno al di qua, una difesa da quelli che stanno al di là. Non lo vedo come un limite, ma come un segnale, un qualcosa che ti impone di fermarti, di guardare e cercare di capire. 

sabato 8 agosto 2020

Il vulcano è morto

 Non appena le ombre della sera strisciavano lungo i

muri, e il grande soffio nero del mare spegneva le verdi

foglie degli alberi e le rosse facciate delle case, una folla

squallida, lenta, tacita, sbucava dai mille vicoli di Toledo

e invadeva la piazza. Era la mitica, antica, miseranda folla

napoletana: ma qualcosa in lei era spento, la gioia della

fame, perfino la sua miseria era triste, pallida, spenta. La

sera saliva a poco a poco dal mare, e la folla alzava gli oc-

chi rossi di lacrime mirando il Vesuvio sorgere bianco,

freddo, spettrale contro il cielo nero. Non il più lieve ali-

to di fumo si levava dalla bocca del cratere, non il più te-

nue bagliore di fuoco accendeva l'alta fronte del vulca-

no. La folla sostava muta per ore e ore, fin nel cuor della

notte: poi si disperdeva in silenzio.

Rimasti soli nell'immensa piazza, davanti al mare la-

stricato di nero, Jimmy ed io ce ne andavamo voltandoci

ogni tanto a guardare il grande cadavere bianco che si

disfaceva lentamente nella notte, in fondo all'orizzonte.

Nell'aprile del 1944, dopo aver per giorni e giorni

squassato la terra e vomitato torrenti di fuoco, il Vesuvio

si era spento, Non si era spento a poco a poco, ma d'un

ù•atto: avvoltasi la fronte in un sudario di fredde nuvole,

aveva gettato all'improvviso un gran grido, e il gelo della

morte aveva impietrito le sue vene di lava ardente. Il Dio

di Napoli, il totem del popolo napoletano, era morto.

Un immenso velo di crespo nero era sceso sulla città, sul

golfo, sulla collina di Posillipo. La gente camminava per

le strade in punta di piedi, parlando a voce bassa, come

se in ogni casa giacesse un morto.

Un lugubre silenzio gravava sulla città in lutto: la voce

di Napoli, l'antica, nobile voce della fame, della pietà,

del dolore, della gioia, dell'amore, l'alta, rauca, sonora,

allegra, trionfante voce di Napoli, era spenta. E se talvol-

ta il fuoco del sole al tramonto, o l'argenteo riflesso della

luna, o un raggio del sole nascente parevano accendere

il bianco spettro del vulcano, un grido, un grido altissi-

mo, come di donna in doglia, si alzava dalla città. 

(Curzio Malaparte, La pelle, Gli Adelphi)


Pensierino. Si conclude il peregrinare di Malaparte al seguito delle truppe americane che da Napoli risalgono al nord. Malaparte ritorna col suo amico Jmmy a Napoli per accompagnarlo all'imbarco verso casa, negli USA. E' l'ultimo amico che gli è rimasto, gli altri sono tutti morti durante i 18 mesi dall'entrata degli Alleati a Napoli il 1 ottobre del 1943. 


giovedì 6 agosto 2020

Socrate bevve la cicuta e per lui parlò Santippe

Ma Socrate bevve la cicuta senza aprire bocca. Parlò per lui Santippe. «Siracusani! Avete assistito alla morte di un uomo da cui vi aspettavate parole grandi, profonde, un discorso sul senso della morte, magari qualche rivelazione su quel che attende noi tutti nell'aldilà. Siete rimasti delusi. Socrate ha taciuto. Al posto suo ora vi parlo io, Santippe. Socrate era mio marito, e il suo silenzio mi dà il diritto di parlare in un mondo dove le donne altrimenti tacciono, tanto più che mi rivolgo a esseri nati da donne; questa è l'unica certezza, chiunque sa chi è la propria madre, fosse anche una prostituta. E il padre? Per molti di voi è ignoto. Si vive, in tempo di pace, in un mondo di adulteri, spesso vostra madre è l'unica che conosce vostro padre. Mentre in tempo di guerra si vive in un mondo di stupri, allora nemmeno vostra madre sa chi sia vostro padre e per lo più si vive in tempo di guerra. Così ora non so se sto parlando a siracusani, cartaginesi od oschi, d'altronde ci sono domande che restano senza risposta. Questo lo sapeva anche Socrate. Non che ci fossero domande cui non sapesse rispondere, per esempio se fosse un buono scultore o meno: separò la propria strada da quella della scultura, e cosi avrebbero fatto anche altri, se solo si fossero posti il problema. Anche alla domanda su quale vino fosse il migliore e a cosa si dovesse accompagnare Socrate sapeva rispondere, ma soprattutto sapeva essere se stesso. Socrate rimase sempre Socrate, capacità che possiedono ben pochi, prima sono bambini, poi diventano uomini, e quando sono diventati uomini si trasformano in politici, condottieri, poeti, eroi o altro, non sono mai se stessi. Non sono più uomini, sono semplici ruoli, mentre noi donne rimaniamo donne quando diventiamo madri, etere o prostitute. Socrate non si atteggiava a Socrate, fu quel che era sempre stato, Socrate. Sapeva di non sapere, per questo chiedeva a chiunque cosa sapesse. Lo chiedeva ad artigiani, filosofi, astronomi, politici, chiedeva e chiedeva, e nessuno era mai in grado di rispondere, nessuno fra gli artigiani, filosofi, astronomi e politici: si trovava sempre di fronte al mare sconfinato del non sapere, dove sfociano tutte le domande e dove non ha più senso domandare, perché quanto più si cerca di sapere, tanto più incommensurabile diviene questo mare. Era convinto che fosse meglio subire un'ingiustizia che compierla. Per questo non faceva nulla. Era di una pigrizia divina. Si teneva al fuori delle cose, preferiva starsene in disparte. Per lui l'essere era tutto, il sapere era il nulla. Seguiva con lo sguardo ogni etera, ogni fanciullo. Gli piaceva il buon cibo e beveva volentieri. E ha fatto ubriacare il vostro tiranno, ha retto il vino meglio di lui. Per questo ha dovuto morire. Ha accettato serenamente il verdetto di morte. Nulla da obiettare. Uno scotto da pagare per avere retto l'alcol. Chiunque avesse bevuto come lui sarebbe morto da tempo di cirrosi. Ha bevuto serenamente la cicuta. Se l'è meritata. Socrate è morto da Socrate. Sono orgogliosa di essere stata sua moglie. Siracusani, ora prendo congedo da voi. Prendo con me Platone. L'ho riscattato con i proventi del negozio di antiquariato aperto grazie a Socrate, e anche alla sua capacità di reggere l'alcol. Platone è il primo pezzo del mio nuovo negozio. Lo rivenderò al doppio del prezzo a cui l'ho acquistato qui. E un originale. Crede di sapere. Ha descritto Socrate prendendo a modello se stesso: un Socrate che non sapeva di non sapere nulla. Salute a voi».

Pensierino. Taccio ascoltando Santippe.

lunedì 3 agosto 2020

Nella terra dei Gattopardi

«Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi.», così scriveva Giuseppe Tomasi di Lampedusa ne "Il Gattopardo". In questo paese di "Gattopardi" abbiamo preso la scorciatoia: non cambiamo niente da subito.


giovedì 30 luglio 2020

La lingua di Camilleri

riccardino_andrea_camilleri

Incipit

Uno

Il tilefono sonò che era appena appena arrinisciuto
a pigliari sonno, o almeno accussì gli parsi, doppo ore
e ore passate ad arramazzarisi ammatula dintra al letto.
Le aviva spirimintate tutte, dalla conta delle pecore
alla conta senza pecore, dal tintari d’arricordarisi come
faciva il primo canto dell’Iliade a quello che Cicerone
aviva scrivuto al comincio delle Catilinari. Nenti, non
c’era stato verso. Doppo il Quousque tandem, Catilina,
nebbia fitta. Era ‘na botta d’insonnia senza rimeddio,
pirchì non scascionata da un eccesso di mangiatina o
da un assuglio di mali pinseri.
Addrumò la luci, taliò il ralogio: non erano ancora le
cinco del matino. Di certo l’acchiamavano dal commis-
sariato, doviva essiri capitata qualichicosa di grosso. Si
susì senza nisciuna prescia per annare ad arrispunniri.
Aviva ‘na presa tilefonica macari allato al commodino,
ma da tempo non l’adopirava pirchì si era fatto pirsuaso
che quella piccola caminata da ‘na càmmara all’autra,
in caso di chiamata notturna, gli dava la possibilità di
libbirarisi dalle filinie del sonno che si ostinavano a ri-
starigli ‘mpiccicate nel ciriveddro.
«Pronto?».

venerdì 24 luglio 2020

A Dio non piace che si rida di lui

Inutile sottolineare mi ha sempre affascinato l'interpretazione di immagini e musiche: questo blog è pieno zeppo di "letture" di questo tipo. Mi rendo conto sempre più che lo stesso avviene anche per la parola scritta, anche quella scientifica che parrebbe quella più netta e precisa (almeno all'apparenza). Alla fine da ciascun libro il lettore trae un "suo" libro.

Pare che alcuni testi siano una fonte inesauribile di interpretazioni sempre più minuziose e sottili. Mi è capitato di recente di sentire durante una conversazione sul sorriso nel Vangelo, di sentir persino  parlare dell'ironia di Dio. Anzi per l'esattezza del fatto che né Gesù né Dio ridano mai. Anzi a volte si stizziscono per il riso degli uomini. Saranno senza ironia?

I due episodi biblici sono noti: uno è quello di Abramo e Sara (Genesi 18, 1-15) e l'altro di Zaccaria ed Elisabetta (Luca 1, 5-25). In entrambe i casi un messaggero di Dio annuncia che gli anziani coniugi avranno un figlio. Nel primo caso è Sara che ride all'annuncio, nel secondo è Zaccaria.
La reazione è stizzita: Sara, che ha riso "dentro di sé", è scoperta dal Signore messaggero di Dio e tenta di negare imbarazzata dalla sua stessa reazione, quando questi le chiede spiegazione; il Signore taglia corto dicendole "Si, hai proprio riso". Sara aveva riso anche immaginando di come avrebbe concepito "avvizzita come sono, dovrei provare il piacere, mentre il mio signore è vecchio!". Un orgasmo tra ultra novantenni è cosa ridicola? Da Abramo e Sara nasce Isacco che in ebraico significa "colui che ride" e non è un caso ed è anche una rivalsa.
Nel secondo episodio biblico è Zaccaria che ride all'annuncio dell'Angelo del Signore e la sua incredulità viene subito punita: "tu sarai muto" fino a quando la profezia non si avvererà. Da Zaccaria ed Elisabetta nascerà Giovanni Battista, il Decollato, l'unico Santo che si festeggia nel giorno della sua nascita e non della sua morte.

Immediatamente viene alla mente un altro annuncio, quello dell'Angelo Gabriele a Maria. In questo caso la reazione è di stupore "Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?". E l'Angelo le ricorda l'episodio di Elisabetta incinta a 90 anni che al momento dell'Annunciazione di Maria è al sesto mese di gravidanza.

Ho già raccontato su questo blog l'incontro di Maria con Elisabetta (la Visitazione) raffigurata in molte opere). Un episodio intimo e fatto di semplici gesti affettuosi e solenni.   

Poche parole ed ecco che si apre un mondo di interpretazioni.


martedì 14 luglio 2020

Ottobre 1943, il Vesuvio si sveglia al rumore dei bombardamenti




Pensierino. Il Vesuvio ne ha viste tante sotto di sé ed ogni tanto anche lui fa sentire la sua voce potente che sovrasta il rumore di qualsiasi cosa succede là sotto, nei vicoli di Forcella o di Montedidio e fa tremare tutti.

martedì 16 giugno 2020

Chissà se i tarocchi dicono la verità

Chissà...
A volte i tarocchi
ci dicono quello che
vogliamo sentirci dire.
Una superficie
di bellissimi fiori
che non ci sono.



domenica 7 giugno 2020

Portati per mano verso il caos

Friedrich Durrenmatt nel suo La Promessa (Un requiem per il romanzo giallo) racconta la storia del naufragio della logica poliziesca di fronte ad un grave episodio di assassinio di una bambina nelle campagne della Svizzera dei Grigioni.
Uno scrittore di romanzi gialli si incontra in una conferenza per la presentazione di un suo lavoro con un ex comandante di polizia, il dottor H, col quale di mala voglia condivide un passaggio in auto verso Zurigo. E' il dottor H. che per confutare le tesi dei meccanismi (troppo) perfetti con i quali si costruiscono i "gialli", racconta un episodio che, secondo lui, sconvolgerebbe quella logica.
Prima di svelare la conclusione "fin troppo semplice" il dottor H. sostiene: 

(bisogna) avere ben chiaro in mente che riusciremo a evitare il naufragio nell'assurdo, che per forza di cose risulta sempre più netto e schiacciante, e a costruirci su questa terra un'esistenza abbastanza confortevole, solo incorporandolo tacitamente nel nostro pensiero. La nostra ragione rischiara il mondo non più dello stretto necessario. Nel bagliore incerto che regna ai suoi confini si insedia tutto ciò che è paradossale. Dobbiamo guardarci dal considerare questi fantasmi come fossero qualcosa "in sé", come se si trovassero fuori dello spirito umano, o, peggio ancora: non commettiamo lo sbaglio di considerarli come un errore evitabile, sbaglio che ci potrebbe indurre a condannare il mondo in una sorta di morale caparbia e dispettosa, qualora tentassimo di imporre una visione perfettamente razionale delle cose, giacché proprio la sua perfezione assoluta costituirebbe la sua menzogna mortale e un segno della peggiore cecità. 
Pensierino. Durrenmatt è maestro nel portarci per mano con una logica perfetta come un orologio svizzero (appunto) ad una conclusione che spiazza. La sua logica stringente è in funzione di un immanente irrazionale caos che sovrasta le nostre vite.

Il romanzo è uscito nel 1975 da Einaudi e nel 2005 ripubblicato ne La biblioteca di Repubblica.


domenica 17 maggio 2020

I simboli di una piccola comunità. Il caso del cedro di Buscate

135 anni del cedro del Cimitero. Una storia legata alla nostra comunità.
Premessa. In questi giorni si decide se abbattere o meno un Cedro dell'Himalaya che da 135 anni sta davanti al Cimitero di Buscate in provincia di Milano. Questa è la storia della sua nascita.
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Il 3 maggio del 1885 Don Giovanni Battista Ferrari (professore emerito), Parroco di Buscate, inaugura il nuovo Cimitero di Buscate con una gran partecipazione di folla, delle Autorità, delle due Congreghe con le loro cappe nuove e della banda. L’entusiasmo è alle stelle e nel suo discorso il Parroco non lesina complimenti agli amministratori del Comune che lui chiama Estimati (le elezioni avvenivano ancora per censo e votavano solo quelli che avevano un reddito di almeno 19,8 lire di tasse pagate annuali – circa 90 € attuali -). Costoro “non consigliandosi colla parsimonia, che suggerirebbero i tempi, vollero che al bisogno fosse provveduto con buon gusto e larghezza di mezzi”. Il nuovo Cimitero prende il posto di quello ormai insufficiente di Via Villoresi (oggi parchetto delle rimembranze) che ha ospitato cinque generazioni di buscatesi (prima ancora, infatti, il cimitero era vicino a San Mauro). E’ ancora il Parroco che descrive l’opera: “ per ampiezza di spazio, per ben concepito disegno, per soda e corretta esecuzione, non che per ben intesi comparti interni, e per leggiadra disposizione di margini a verde perenne, e di alberi ospitali, che ne allietano l’ingresso (ndr ecco l'accenno ai 4 cedri dell'Imalaya che "fregiavano l'ingresso) è così ben riuscito, che tra i cimiteri rurali, a ben pochi può dirsi secondo”. A ulteriore fregio anche un “facoltoso e munifico proprietario di qui” (indicato in nota come Gaetano Motta), ha costruito un “marmoreo monumento… a pietoso ricordo de’ suoi cari estinti e che, colle sue forme severe, torreggia e sormonta questo recinto e anch’esso vi aggiunge lustro e decoro”.
Il discorso del Parroco è accalorato ed a tratti emozionante, non tralasciando dotte citazioni (non solo bibliche) e stoccate ai “materialisti”. Già i materialisti erano forse quei contadini che proprio in quegli anni cercavano di affrancarsi da una vita miserevole e da contratti agrari da fame.
A loro il Parroco ricorda: “E’ l’uguaglianza finale (ndr nella morte) che rende tollerabile la diseguaglianza sociale, contro cui, dagli imi strati, oggidì più che mai, si freme e tumultua”.
Ma la Boje era già partita nella provincia di Mantova e nel Trevigiano e si stava diffondendo a macchia d’olio nella pianura. Arriverà ben presto anche a Dairago e Villa Cortese il 5 maggio 1889 con la richiesta ai proprietari ("pretesa" la chiamavano Lor Signori) di ridiscutere i contratti. Alla sordità dei proprietari terrieri (tra i quali dobbiamo annoverare anche la Chiesa), la risposta si fa sempre più violenta tanto che ad Arluno è chiamato ad intervenire l’esercito del generale Bava Beccaris, quello che nello stesso mese sparò alla folla a Milano facendo 80 vittime e il giugno successivo fu insignito del titolo di grande ufficiale dell’Ordine Militare di Savoia dal Re Umberto I e nominato senatore dl Regno. Il 21 e 22 maggio dello stesso anno i moti arrivarono anche a Buscate con l’episodio dei sassi che infrangono le grandi due lanterne davanti alla Villa che diventerà Abbiate e che aveva come proprietario all’epoca proprio quel Gaetano Motta che aveva costruito la tomba di famiglia al cimitero. Il risultato è l’arresto di due “facinorosi” Gaetano Miramonti e Antonio Nava, condannati rispettivamente a 40 giorni e sette mesi di carcere. Il Miramonti sbarcherà poi a Ellis Island il 13/06/1903 (Mi a vo via, p.16): è la sorte di molti “ribelli” che finiranno con l’emigrare per avere una nuova opportunità nella vita lontano dalla miseria.
Per tornare agli alberi “ospitali” che fregiano l’ingresso del Cimitero certamente uno di questi è il cedro dell’Himalaya che campeggia ancora oggi e speriamo lo faccia ancora per secoli.
Non spetta a me dire se questo albero centenario debba essere recuperato dopo i gravi danni subiti, saranno i tecnici ad esprimersi in merito: agli amministratori spetta l’onere di scegliere personale qualificato per questo tipo di analisi. Certamente, come o cercato di spiegare in questo articolo, questo albero è un simbolo per il paese e quando si maneggiano i simboli di una comunità occorre avere molte attenzioni. In passato non abbiamo avuto scrupoli e abbiamo distrutto pezzi della nostra identità (la chiesa di San Mauro, il Municipio, Villa Abbiate): i segni di questa sbrigativa e devastante liquidazione sono ancora ben visibili. Cerchiamo di valutare bene questa volta cosa fare.
Su Buscateblog potete anche leggere il testo integrale del discorso di Giovanni Battista Ferrari
L'immagine può contenere: una o più persone, folla, albero e spazio all'aperto
Un funerale del 1928. Si vedono oltre la cinta ed il cancello d'ingresso del Cimitero i 4 Cedri.
Quello più a destra è quello sopravvissuto fino ad oggi.
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L'entrata del Cimitero e al centro la Cappella Motta

domenica 10 maggio 2020

Tradimento

Intorbidi, se tocchi
l'acqua chiara.

Appena esci nel sole
tracci un'ombra.

Perciò se invochi dio
ti viene male.

Fabrizia Ramondino, Avvertimento, da Per un sentiero chiaro, Einaudi, 2004

Pensierino. Chissà perché rileggendo questa poesia ho pensato alla trasmissione di ieri sera di Roberto Benigni che raccontava i Dieci Comandamenti.




martedì 5 maggio 2020

Lucenti e rigide come antichissime statue

La festa è iniziata e dai casolari scendevano ai paesi (trasfigurati dalla memoria) di Schiazzano, di Montecchio, di Marciano, di Alisistri e Metamunno (paesi "alla marina" fuori Althénopis - la Napoli della Ramondino) le maestose matrone popolane.

Passano le vecchie dei casolari vestite di seta cangiante, marrone o verde bottiglia o nera, che noi vedevamo invece sempre infagottate o discinte, con le gambe nodose di varici e i piedi deformi, levati a volte su una pietra a riposare. Passavano vestite dalla testa ai piedi, lucenti e rigide come antichissime statue, depositarie di sapienza, tutrici della terra, dei parti, dell'allevamento dei figli, della cura dei malati e dei pazzi, e custodi delle basilari regole di civile e religiosa convivenza.

Questo capitolo del libro di Fabrizia Ramondino è molto evocativo e come si svolge la festa, prima religiosa, con i suoi riti della processione e benedizione, e poi di festa laica con le bancarelle e i "fuochi" finali, i fidanzati che si appartano, i bambini che sgusciano ovunque, curiosi, mi ha ricordato la mia infanzia e quelle atmosfere, anche se da noi, nella Lombardia di San Carlo, le commistioni tra religione e festa "pagana" erano assolutamente vietate. Eppure, malgrado questa cupezza imposta, c'era comunque un che di gioioso, che apriva al sorriso.

Il libro della Ramondino devo dire che solo a tratti mi ha entusiasmato, in particolare questo capitolo delle feste e gli ultimi del "Ritorno al nord", con il racconto del confronto/scontro con la madre. Lì il racconto si fa nervoso, sincopato, con frasi brevi, flash taglienti di una "normalità" borghese rifiutata. Per il resto la minuziosa descrizione della saga familiare personalmente stufa un po', ma è un giudizio molto sommario.

Rimane un libro da leggere.

Fabrizia Ramondino, Althénopis, Einaudi, ultima edizione 2016



martedì 28 aprile 2020

Amaro Rea

Ho finito di leggere l'amaro libro di Domenico Rea, Pensieri della notte, Dante & Descartes, 2006. Un libro immerso in una Napoli lontana dalle cartoline "basta ca ce sta 'o sole", una città vissuta dai protagonisti esclusivamente di notte, camminando a piedi nei vicoli luridi, visitando per cene luculliane infimi bassi o terrazze affacciate su un mare di antenne tivvù. Rea e gli amici (i professori Igalo e Broell) si aggirano a piedi o di malavoglia con una sgangherata 500, alla ricerca di qualcosa di autentico che ancora si può gustare in questa città trasformata in una metropoli anonima, omologata per gusti ed abitudini e mantenendo, comunque, quell'afrore caratteristico, persistente, dal quale pare non riesca ad affrancarsi.
La città di giorno è invivibile per il traffico caotico, il rumore, una delinquenza sfrontata che non trova alcun argine al suo dilagare, accettata come una calamità naturale. 
I vecchi professori parlano di gusti antichi della cucina, del libraio napoletano di Port'Alba dal quale si trovano i libri anche usciti 10 anni fa, delle bellezze della strada per San Gregorio Armeno, dell'impareggiabile  camiciaio Struzzo, dei sarti sopraffini Panico Rubinacci e Ciardi. Insomma parlano di un mondo che scompare. 
Il prof. Broel alla fine tenta una fuga in un convento immerso nei boschi di Vallechiara, ma scopre che anche lì è arrivata la "modernità" con i suoi eroi (Baudo, la Carrà e Maradona) e quindi se ne ritorna a Napoli concludendo "Pensando a quanto ho visto e sentito soffrirò di meno".

Rimane un libro pieno di un humor amaro. Delizioso.

PS Deliziosi i due gattini Fritz e Look che seguono i nottambuli nelle loro scorribande gastronomiche, ricavandone sempre il loro tornaconto.

PPSS Il Prof. Igalo, manco a dirlo, abita in vico Purgatorio Storto: un nome, un destino.

Una guida dedicata al mio paese

  Lo scorso anno scolastico ho presentato un progetto alla Scuola secondaria di primo grado (le "medie" di una volta) un progetto ...