Nel cinquantesimo della scomparsa di Carl Gustav Jung potrà avere una qualche utilità rievocare un episodio significativo della sua vicenda biografica. A Ravenna ebbe un prodigioso abbaglio che avvalora la concezione da lui teorizzata in diverse pubblicazioni secondo cui nella psiche umana vi sono cose che non sono prodotte dall'Io, ma si producono da sé, e vivono di vita propria.
Si dovrà risalire agli anni Trenta, quando il già affermato psichiatra nativo di Kesswil, autore di numerosi saggi sull'inconscio e all'epoca Presidente della Società internazionale di Psicoterapia, si recò in Italia per dare continuità a quei viaggi e percorsi che erano alla base dei suoi studi sulla psiche umana. A Ravenna, la città cantata da Gabriele d'Annunzio con versi ad alta densità simbolica (glauca notte rutilante d'oro, sepolcro di violenti custoditi da terribili sguardi), gli aspetti misteriosi della nostra mente emersero con inquietante evidenza, e Jung ne registrò personalmente gli effetti.
Affascinato dallo splendore dell'arte musiva che richiama da secoli i viaggiatori di tutto il mondo, lo psichiatra svizzero entrò insieme alla sua compagna di viaggio all'interno del Battistero Neoniano, rivestito di preziosi mosaici. Qui fu attirato dall'immagine di Cristo che allunga la mano a Pietro per salvarlo dalle acque del fiume in cui rischia di annegare, e ne tentò in loco l'interpretazione, disquisendo con la donna sul significato della morte e della rinascita, a suo parere ben manifestato nella raffigurazione. Ma la sorpresa l'ebbe al ritorno dal viaggio, quando a Zurigo decise di approfondire le ricerche richiedendo a Ravenna una riproduzione fotografica di quel particolare del mosaico. Scoprì così che una rappresentazione di Cristo nell’atto di soccorrere Pietro, sulle pareti del Battistero Neoniano in realtà non esisteva. Jung l'aveva solo percepita: si era trattato di un’illusoria parvenza originata in lui dall'incontro fra coscienza e inconscio, in una commistione di impressioni difficili da spiegare sul piano sensoriale.
Il turbamento di Jung a Ravenna non era un fatto nuovo. Già vent’anni prima, nel 1914, aveva avvertito un senso di smarrimento davanti alla tomba di Galla Placidia, l’imperatrice romana figlia di Teodosio I. Mettendo in relazione le due analoghe esperienze, fu naturale per lui richiamare alla mente il leggendario racconto sulla tempesta che nel 424 sorprese Galla Placidia quando da Costantinopoli attraversò il mare per raggiungere l’Occidente. La promessa e il voto di erigere una chiesa a Ravenna e di abbellirla con splendidi mosaici se fosse sopravvissuta ai flutti turbinosi, fu mantenuta dalla raffinata regnante e sorse così la basilica di San Giovanni Evangelista. Ma in epoca successiva un incendio devastò la chiesa e i mosaici andarono distrutti. L’associazione fra la perdita dei mosaici e la mancanza di qualcosa già visibile in precedenza, acquisiva la valenza di una privazione che dovette influenzare la sfera sensoriale di un individuo dotato di conoscenze storico-artistiche. Questa può essere la causa psichica della momentanea percezione visiva di Jung, tanto più credibile se si considera la condivisione dell’esperienza da parte della sua compagna di viaggio, che pure credette di vedere all’interno del Battistero Neoniano lo stesso mosaico. Anche quando una spiegazione fosse stata possibile, lo psichiatra risolse di annoverare il fatto tra i fenomeni e lecose della psiche che emergono spontaneamente dall'inconscio, seppure in assenza di condizioni plausibili per richiamarle. Nel volume autobiografico Ricordi, sogni, riflessioni, si legge testualmente: Il mio caso non è certo l'unico, di questo genere, ma quando ci capitano cose simili, non si può fare a meno di prenderle più sul serio di quando si sono solo sentite dire o si sono lette. In genere, di fronte a racconti di cose simili, si hanno pronte tutte le spiegazioni possibili: io, per parte mia, sono invece giunto alla conclusione che prima che si possa definire qualsiasi teoria nei riguardi dell'inconscio, ci sia ancora bisogno di farne molte, moltissime esperienze.
Di esperienze Carl Gustav Jung ne ebbe molte, come viaggiatore, come studioso, come individuo dedito ai misteri della mente. Il rifiuto di una visione dogmatica della religione e dei fatti dell’esistenza, il suo graduale allontanamento dalle teorie di Sigmund Freud, su cui peraltro si era formato nel tentativo di interpretare i sogni dei pazienti, non gli consentirono di dare al curioso episodio di Ravenna spiegazioni certe. Restava un mistero dell’anima, uno dei tanti, una visione onirica mai sfuocata in ambiguità, ma ben definita e presente in lui anche a distanza di tempo. Tanto definita da poterne descrivere, come in un sogno di cui si conserva viva memoria, perfino i dettagli, i colori (l’azzurro del mare, riferisce Jung) l’ampiezza della raffigurazione e i cartigli riempiti con le parole di Pietro e di Cristo.
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