giovedì 30 luglio 2020

La lingua di Camilleri

riccardino_andrea_camilleri

Incipit

Uno

Il tilefono sonò che era appena appena arrinisciuto
a pigliari sonno, o almeno accussì gli parsi, doppo ore
e ore passate ad arramazzarisi ammatula dintra al letto.
Le aviva spirimintate tutte, dalla conta delle pecore
alla conta senza pecore, dal tintari d’arricordarisi come
faciva il primo canto dell’Iliade a quello che Cicerone
aviva scrivuto al comincio delle Catilinari. Nenti, non
c’era stato verso. Doppo il Quousque tandem, Catilina,
nebbia fitta. Era ‘na botta d’insonnia senza rimeddio,
pirchì non scascionata da un eccesso di mangiatina o
da un assuglio di mali pinseri.
Addrumò la luci, taliò il ralogio: non erano ancora le
cinco del matino. Di certo l’acchiamavano dal commis-
sariato, doviva essiri capitata qualichicosa di grosso. Si
susì senza nisciuna prescia per annare ad arrispunniri.
Aviva ‘na presa tilefonica macari allato al commodino,
ma da tempo non l’adopirava pirchì si era fatto pirsuaso
che quella piccola caminata da ‘na càmmara all’autra,
in caso di chiamata notturna, gli dava la possibilità di
libbirarisi dalle filinie del sonno che si ostinavano a ri-
starigli ‘mpiccicate nel ciriveddro.
«Pronto?».

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