Solo et pensoso i piú deserti campi
vo mesurando a passi tardi et lenti,
et gli occhi porto per fuggire intenti
ove vestigio human l’arena stampi.
vo mesurando a passi tardi et lenti,
et gli occhi porto per fuggire intenti
ove vestigio human l’arena stampi.
Altro schermo non trovo che mi scampi
dal manifesto accorger de le genti,
perché negli atti d’alegrezza spenti
di fuor si legge com’io dentro avampi:
dal manifesto accorger de le genti,
perché negli atti d’alegrezza spenti
di fuor si legge com’io dentro avampi:
sì ch’io mi credo omai che monti et piagge
et fiumi et selve sappian di che tempre
sia la mia vita, ch’è celata altrui.
et fiumi et selve sappian di che tempre
sia la mia vita, ch’è celata altrui.
Ma pur sí aspre vie né sí selvagge
cercar non so ch’Amor non venga sempreragionando con meco, et io co’llui.
cercar non so ch’Amor non venga sempreragionando con meco, et io co’llui.
…in quali campi deserti, tra quali monti e selve si aggirava pensoso e tormentato il grandissimo Petrarca quando compose questo meraviglioso sonetto del Canzoniere? Devo ammettere che sento una forte scossa di emozione se penso che i campi deserti possano essere quelli dell’attuale Parco delle Cave, alla periferia nord-ovest di Milano. Dal 1353 al 1359 circa, infatti, il Poeta fu invitato da Giovanni Visconti, arcivescovo e signore della città, a risiedere a Milano. Ma Petrarca non voleva essere stressato dal caos cittadino e dalle folle di sconosciuti, e scelse perciò come dimora la Cascina Linterno, nel Parco delle Cave appunto, che gli garantiva la reclusione e l’immersione completa nel mondo naturale da lui desiderate.
(tratto dal blog di Daria qui)
Ma alla Cascina Linterno ci ha abitato negli ultimi anni della sua vita anche el Prett de Ratanà al secolo
Don Giuseppe Gervasini nato a Robarello di Sant'Ambrogio Olona (Varese) l'1 marzo 1867 e morto il 22 novembre del 1941.
Per chi non è milanese el Prett de Ratanà non dice quasi nulla, ma è un personaggio molto noto in tutta la città e non solo per la sua attività di "guaritore" con le erbe.
- Ciàppa 'stà érba chì e falla bùj, béven on cugiàa a la mattìna, in còo a óna settimàna te gh'hee pù niént. -
I suoi erano rimedi naturali, dava agli ammalati le erbe che raccoglieva nel suo orto: timo, rosmarino, maggiorana, menta, malva, gramigna, camomilla, biancospino, aglio e quello che raccoglieva nei boschetti o sulle rive dei fontanili. Curava con l'acqua limpida e fresca del fontanile Marcionino che gli passava sotto casa, prescriveva bicarbonato e lievito di birra, faceva attaccare sanguisughe dove c'era da togliere il sangue guasto, dava da mangiare scodelle di zuppa e spesso anche frutta e dolci raffermi e muffi. Ogni giorno comprava e distribuiva quaranta chili di pane ai poveri e tratteneva a pranzo tutti quelli che venivano da lontano, con una mano prendeva la roba che gli regalavano e con l'altra la distribuiva a chi ne aveva bisogno.
Gli bastava un'occhiata per capire di che cosa aveva bisogno l'ammalato per guarire. Don Giuseppe non era un mago; aveva una profonda conoscenza di anatomia e patologia, che imparò da autodidatta durante il militare.
(Dal sito degli Amici della Cascina Linterno, vedi qui)
Una passeggiata e qualche foto. Domenica 15 Novembre.
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