martedì 3 novembre 2015

Dell'andare e del ritornare

Talvolta i luoghi parlano, talvolta tacciono, hanno le loro epifanie e le loro chiusure. Come ogni incontro, pure quello con i luoghi - e con chi ci vive - è avventuroso, ricco di promesse e di rischi. Alcuni luoghi, Venezia o Praga parlano anche al viaggiatore più distratto e ignaro con l'evidenza stessa del loro apparire e della vita che vi si svolge.
Altri si affidano a un'eloquenza indiretta, seducono solo chi li attraversa conoscendo ciò che è avvenuto fra quegli alberi o in quelle strade: la stanza in cui è morto Kafka, a Kierling, dice tante cose ma solo a chi sa che tra quelle pareti ha vissuto le sue ultime ore Kafka e guarda anche le
crepe sui muri in questa luce. Altri luoghi si chiudono in un opaco segreto e l'incontro fallisce; pure il viaggio, come ogni avventura, è esposto alla sconfitta e all'aridità. Ciò avviene perché il viaggiatore - per ignoranza, per superbia, per accidia - non trova la chiave per entrare in quel mondo, il vocabolario e la grammatica per capire quella lingua e decifrare quella cultura. Lo status viatoris che il pensiero religioso attribuisce all'uomo implica pure questa fragilità,
quest'alternanza di gloria e di caduta, la capacità di salvezza unita all'esposizione allo scacco e alla colpa.
Ci sono luoghi che affascinano perché sembrano radicalmente diversi e altri che incantano perché, già la prima volta, risultano familiari, quasi un luogo natio. Conoscere è spesso, platonicamente, riconoscere, è l'emergere di qualcosa magari ignorato sino a quell'attimo ma accolto come proprio. Per vedere un luogo occorre rivederlo. Il noto e il familiare, continuamente riscoperti e arricchiti,
sono la premessa dell'incontro, della seduzione e dell'avventura; la ventesima o centesima volta in cui si parla con un amico o si fa all'amore con una persona amata sono infinitamente più intense della prima. Ciò vale pure per i luoghi; il viaggio più affascinante è un ritorno, un'odissea, e i luoghi del percorso consueto, i microcosmi quotidiani attraversati da tanti anni, sono una sfida ulissiaca.
"Perché cavalcate per queste terre?” chiede, nella famosa ballata di Rilke, l'alfiere al marchese che procede al suo fianco. "Per ritornare” risponde l'altro.
Claudio Magris, L'infinito viaggiare, Oscar Mondadori, 2005


2 commenti:

  1. Ripercorrere per capire quel che è sfuggito, quel che non si è considerato la prima volta.
    E' fatta anche di questo la conoscenza, della capacità di aggiungere a quel che già si conosce.

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    Risposte
    1. Camminiamo troppo svelti o meglio ci muoviamo troppo svelti... Già se camminassimo qualcosa in più vedremmo. Ciao Sabina

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