mercoledì 20 aprile 2016

Il nulla e il despota maligno

Non conoscevo la poesia di Tommaso Landolfi. Forse non è stato un male perché è una poesia "senza scampo", cupa, pervasa da un fatale pessimismo nel destino dell'uomo. Una poesia talmente straziante che lo stesso autore ha cercato di tenersene lontano, quasi avesse paura di guardare giù nell'abisso che si apriva al suo sguardo. Non so se è un azzardo da neofita, ma sento la sua poesia molto vicina a quella dei "Canti ultimi" di David Maria Turoldo. Questo corpo a corpo con un dio silenzioso che è nello stesso tempo il nulla (lo chiama Turoldo) e una presenza ingombrante (despota maligno, lo chiama Landolfi). 
Una poesia comunque da sorbire a piccoli sorsi, per non avvelenarsi e , anzi, correre il rischio, come per tutti i veleni, che diventi un antidoto.

L'orgoglio, ma del dio,
Aperse il baratro infernale:
Non l'orgoglio dell'angiolo Lucifero,
Umile tanto da affrontare
Il despota maligno.

E baratro infernale questo foglio,
Bianco d'un impossibile messaggio.


RISVOLTO
Come il diario in versi Viola di morte (1972), anche Il tradimento, che ne è «grave e terribile seguito», sembra alimentato dal furore e dalla rabbia, quasi che scrivere colmasse in Landolfi – sono parole di Citati – «una tremenda voragine esistenziale, che torna a riaprirsi alla fine di ogni poesia, più angosciosa di prima. Ora i suoi versi ci rivelano l'immedia­to scatto dei nervi: ora tendono alla scansione nuda dell'epi­gram­­ma e dell'afori­sma. Non volano mai, non cantano mai, non corteggiano mai le grazie dell'imma­gine e della musica». E la ragione è chiara, lacerante: u­gual­mente allettato dal versante ‘selvoso' della prosa e da quello ‘brullo', ‘spoglio' della poe­sia, Landol­fi si sente ormai, da entrambi, ugual­men­te respinto.

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