Quest'anno il contadino Gian Gavino Alivesu seminava il suo grano intorno alle rovine d'una chiesa, vicino al mare. Era un terreno aspro, duro da lavorare, e sebbene l'avesse avuto quasi per niente Gian Gavino si pentiva d'averlo preso. Ogni tanto, in quei pomeriggi ancora caldi d'autunno, dopo aver sudato a estirpare qualche grossa radice di lentischio o a buttare lontano dei sassi, si sollevava con la mano sulla schiena e guardava la linea verde del mare pensando che, dopo tutto, la miglior vita è quella degli eremiti. La leggenda ne faceva morire uno lì, fra le rovine della chiesa, uno che era campato centosette anni e nessuno, del resto, lo aveva veduto morire; tanto che Gian Gavino, ancora adolescente e di cuore semplice, a volte zappava piano per timore di ritrovarne e disturbarne le ossa. Sì, pensava curvandosi di nuovo sulla sua zappa, la vita degli eremiti è la migliore. Che fanno gli eremiti? Niente: mangiano quello che trovano, come uccelli, dormono e non cadono in peccato; pace in terra e pace nell'altro mondo.
(Grazia Deledda, Racconti, Sole 24 ore, 2016)
Pensierino. Da tempo penso che la vita degli eremiti sia la migliore... non mi decido a praticarla, ancora, ma ci manca poco.
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