Le parole secondo Eugenio
Borgna da L'ascolto gentile - Racconti clinici , Einaudi, 2017
Le parole, si sa, queste creature viventi, queste prigioni sigillate dal mistero, questi pozzi artesiani, sono labili ed effimere, impalpabili e fugaci, ma, sia pure spegnendosi nel momento in cui sono dette, con le loro imprevedibili risonanze possono sfidare l'oblio, il drago dell'oblio, che talora sarebbe un salvagente fragile, e nondimeno salvifico. Non è forse, questo, il senso delle parole di Emily Dickinson?
Una parola muore
appena è detta
dice qualcuno -Io dico che comincia
appena a vivere
quel giorno.
Quali parole dire se non quelle che nascano dal cuore, se non quelle fragili e delicate, così le definiva Nietzsche, che svaniscano come stelle cadenti°ma lasciando qualche striscia di luce e di speranza. Ma le parole, anche le più belle e le più ispirate, non sempre aiutano a far rinascere una scintilla, o una goccia di speranza, e allora meglio, molto meglio, le parole dell°ascolto e del silenzio: le parole che sono solo immaginate nel loro mistero.
...
Come si può essere d'aiuto non dicendo nulla, o quasi nulla, limitandosi ad ascoltare per ore e ore...?
Pensierino. Trovo una grande assonanza con questo psichiatra che impudentemente chiamo "collega" in quanto per un certo periodo sono stato anch'io dipendente del suo stesso ospedale. Dolorosi racconti familiari mi hanno poi fatto conoscere cos'era l'Ospedale psichiatrico di Novara, i suoi reparti, i grandi cameroni con le inferiate alle finestre che raccoglievano malati da tutta la provincia di Novara fin su su nelle valli più lontane dell'Ossola e Vigezzo (allora non era ancora nata la provincia di Verbania). Oggi quell'ospedale è chiuso per quel "miracolo" fatto da Franco Basaglia alla fine degli anni '70 e che rimane ancora oggi una "rivoluzione gentile" impareggiabile.
Quando mi sono dimessa dal lavoro, preferendo la disoccupazione alla depressione, la mia ex titolare mi ha detto: "Tra di noi non c'è stato un buon dialogo". L'ho lasciata parlare ma avrei voluto/dovuto dirle: "No, tra di noi non c'è mai stato ascolto perché tu non sai ascoltare nessuno". Ma non le ho detto nulla perché so che tanto non avrebbe ascoltato. Nemmeno per cinque secondi.
RispondiEliminaSolo ricordi...
RispondiEliminaAscoltare è spesso molto più difficile che parlare. E mi riferisco dell'ascolto vero, empatico, non al semplice udire, fatto magari per educazione, per convenienza.
RispondiEliminaImmergersi negli antri bui della psiche a volte è difficile - e doloroso - anche per un " addetto ai lavori".
Non è il caso dell'autore cui tu fai rifermento, che conosco e stimo oltre che la sua vasta ed eterogenea cultura , anche per la sua profonda umanità. E' un grande cultore della cum- passione, termine desueto per noi ( sia nell'uso linguistico che nel contenuto ), ma che i nostri Padri conoscevano bene : cum- patire, ossia sopportare con.
( Ho in mente anche una notazione di un santo - il cui nome adesso mi sfugge - che diceva pressappoco così: " Se un peso è insopportabile da portare da soli, bisogna farlo in due".
E' il vero senso della compassione.