Info. Foto scattate sul Lago di Varese ieri.
Vistare la Villa sul Lago Ceresio Fogazzaro Roi oggi di proprietà del FAI, è come entrare in un altro mondo (antico), un mondo congelato per volontà del suo ultimo proprietario il Marchese Giuseppe Roi pronipote dello scrittore Antonio Fogazzaro . In modo maniacale il Marchese ha lasciato nel suo testamento le disposizioni per la conservazione della villa con la descrizione di tutti gli oggetti e la loro posizione persino seguendo l'alternarsi delle stagioni: le foto, le immagini di famiglia, gli oggetti d'uso quotidiano, persino i cappotti appesi in anticamera, tutto è rimasto "fermo". Pare, con le dovute proporzioni, di essere al Vittoriale di Gabriele D'Annunzio sul lago di Garda ed invece si è sull'ultima propaggine del lago Ceresio a due passi da Lugano.
Tutta questa cura della casa era finalizzata ad ospitare amici e conoscenti, mentre per Antonio Fogazzaro è servita per ospitare i personaggio dei suoi romanzi.
La parte più bella è sicuramente il giardino su più livelli affacciato sul lago e sulla piccola piazza della chiesa.
Per esempio, ecco una classica storiella psichiatrica. Un uomo è convinto di essere morto. Dice a familiari: « Sono morto» e i familiari lo mandano da uno specialista. Subito tra medico e paziente incomincia un'accanita discussione. Il medico fa appello ai sentimenti dell'uomo verso la vita, verso la famiglia. Poi prova a farlo ragionare, dimostrandogli l'intrinseca contraddizione di una frase come « Sono morto » : i morti non sono in grado di dire che sono morti, perché è appunto in questo che consiste l'essere morti. Alla fine il medico ricorre all'evidenza dei sensi. Domanda all'uomo: « I morti sanguinano? « Certo che no » risponde l'uomo, spazientito dall'ottusa dabbenaggine della mente dei medici. «Lo sanno tutti che i morti non sanguinano».Al che il medico gli punge un dito. Ne esce una goccia di sangue. « Ma guarda un po', chi l'avrebbe mai detto » esclama l'uomo. « I morti sanguinano, eccome ».Incorreggibile. Le percezioni e i ragionamenti confermano, anziché contraddirla, l'idea di essere morto.
Pensierino. Provate a trasporre questa storiella e tramutatela da "psichiatrica" in "politica" e scoprirete che ci sono chiare assonanze: tanti si credono quello che non sono. Sono talmente convinti che ad ogni smascheramento si incaponiscono a credere e a far credere di essere altro che paranoici. Il problema è che sono circondati da ciechi e sordi fans che invece di invitarli ad andare dallo psichiatra, li osannano.
Non appena le ombre della sera strisciavano lungo i
muri, e il grande soffio nero del mare spegneva le verdi
foglie degli alberi e le rosse facciate delle case, una folla
squallida, lenta, tacita, sbucava dai mille vicoli di Toledo
e invadeva la piazza. Era la mitica, antica, miseranda folla
napoletana: ma qualcosa in lei era spento, la gioia della
fame, perfino la sua miseria era triste, pallida, spenta. La
sera saliva a poco a poco dal mare, e la folla alzava gli oc-
chi rossi di lacrime mirando il Vesuvio sorgere bianco,
freddo, spettrale contro il cielo nero. Non il più lieve ali-
to di fumo si levava dalla bocca del cratere, non il più te-
nue bagliore di fuoco accendeva l'alta fronte del vulca-
no. La folla sostava muta per ore e ore, fin nel cuor della
notte: poi si disperdeva in silenzio.
Rimasti soli nell'immensa piazza, davanti al mare la-
stricato di nero, Jimmy ed io ce ne andavamo voltandoci
ogni tanto a guardare il grande cadavere bianco che si
disfaceva lentamente nella notte, in fondo all'orizzonte.
Nell'aprile del 1944, dopo aver per giorni e giorni
squassato la terra e vomitato torrenti di fuoco, il Vesuvio
si era spento, Non si era spento a poco a poco, ma d'un
ù•atto: avvoltasi la fronte in un sudario di fredde nuvole,
aveva gettato all'improvviso un gran grido, e il gelo della
morte aveva impietrito le sue vene di lava ardente. Il Dio
di Napoli, il totem del popolo napoletano, era morto.
Un immenso velo di crespo nero era sceso sulla città, sul
golfo, sulla collina di Posillipo. La gente camminava per
le strade in punta di piedi, parlando a voce bassa, come
se in ogni casa giacesse un morto.
Un lugubre silenzio gravava sulla città in lutto: la voce
di Napoli, l'antica, nobile voce della fame, della pietà,
del dolore, della gioia, dell'amore, l'alta, rauca, sonora,
allegra, trionfante voce di Napoli, era spenta. E se talvol-
ta il fuoco del sole al tramonto, o l'argenteo riflesso della
luna, o un raggio del sole nascente parevano accendere
il bianco spettro del vulcano, un grido, un grido altissi-
mo, come di donna in doglia, si alzava dalla città.
(Curzio Malaparte, La pelle, Gli Adelphi)
Pensierino. Si conclude il peregrinare di Malaparte al seguito delle truppe americane che da Napoli risalgono al nord. Malaparte ritorna col suo amico Jmmy a Napoli per accompagnarlo all'imbarco verso casa, negli USA. E' l'ultimo amico che gli è rimasto, gli altri sono tutti morti durante i 18 mesi dall'entrata degli Alleati a Napoli il 1 ottobre del 1943.
Ah Adamo pratichi paradisi raccogli ranuncoli imiti l’infinito Lascia l’eterno!