giovedì 6 agosto 2020

Socrate bevve la cicuta e per lui parlò Santippe

Ma Socrate bevve la cicuta senza aprire bocca. Parlò per lui Santippe. «Siracusani! Avete assistito alla morte di un uomo da cui vi aspettavate parole grandi, profonde, un discorso sul senso della morte, magari qualche rivelazione su quel che attende noi tutti nell'aldilà. Siete rimasti delusi. Socrate ha taciuto. Al posto suo ora vi parlo io, Santippe. Socrate era mio marito, e il suo silenzio mi dà il diritto di parlare in un mondo dove le donne altrimenti tacciono, tanto più che mi rivolgo a esseri nati da donne; questa è l'unica certezza, chiunque sa chi è la propria madre, fosse anche una prostituta. E il padre? Per molti di voi è ignoto. Si vive, in tempo di pace, in un mondo di adulteri, spesso vostra madre è l'unica che conosce vostro padre. Mentre in tempo di guerra si vive in un mondo di stupri, allora nemmeno vostra madre sa chi sia vostro padre e per lo più si vive in tempo di guerra. Così ora non so se sto parlando a siracusani, cartaginesi od oschi, d'altronde ci sono domande che restano senza risposta. Questo lo sapeva anche Socrate. Non che ci fossero domande cui non sapesse rispondere, per esempio se fosse un buono scultore o meno: separò la propria strada da quella della scultura, e cosi avrebbero fatto anche altri, se solo si fossero posti il problema. Anche alla domanda su quale vino fosse il migliore e a cosa si dovesse accompagnare Socrate sapeva rispondere, ma soprattutto sapeva essere se stesso. Socrate rimase sempre Socrate, capacità che possiedono ben pochi, prima sono bambini, poi diventano uomini, e quando sono diventati uomini si trasformano in politici, condottieri, poeti, eroi o altro, non sono mai se stessi. Non sono più uomini, sono semplici ruoli, mentre noi donne rimaniamo donne quando diventiamo madri, etere o prostitute. Socrate non si atteggiava a Socrate, fu quel che era sempre stato, Socrate. Sapeva di non sapere, per questo chiedeva a chiunque cosa sapesse. Lo chiedeva ad artigiani, filosofi, astronomi, politici, chiedeva e chiedeva, e nessuno era mai in grado di rispondere, nessuno fra gli artigiani, filosofi, astronomi e politici: si trovava sempre di fronte al mare sconfinato del non sapere, dove sfociano tutte le domande e dove non ha più senso domandare, perché quanto più si cerca di sapere, tanto più incommensurabile diviene questo mare. Era convinto che fosse meglio subire un'ingiustizia che compierla. Per questo non faceva nulla. Era di una pigrizia divina. Si teneva al fuori delle cose, preferiva starsene in disparte. Per lui l'essere era tutto, il sapere era il nulla. Seguiva con lo sguardo ogni etera, ogni fanciullo. Gli piaceva il buon cibo e beveva volentieri. E ha fatto ubriacare il vostro tiranno, ha retto il vino meglio di lui. Per questo ha dovuto morire. Ha accettato serenamente il verdetto di morte. Nulla da obiettare. Uno scotto da pagare per avere retto l'alcol. Chiunque avesse bevuto come lui sarebbe morto da tempo di cirrosi. Ha bevuto serenamente la cicuta. Se l'è meritata. Socrate è morto da Socrate. Sono orgogliosa di essere stata sua moglie. Siracusani, ora prendo congedo da voi. Prendo con me Platone. L'ho riscattato con i proventi del negozio di antiquariato aperto grazie a Socrate, e anche alla sua capacità di reggere l'alcol. Platone è il primo pezzo del mio nuovo negozio. Lo rivenderò al doppio del prezzo a cui l'ho acquistato qui. E un originale. Crede di sapere. Ha descritto Socrate prendendo a modello se stesso: un Socrate che non sapeva di non sapere nulla. Salute a voi».

Pensierino. Taccio ascoltando Santippe.

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