giovedì 23 maggio 2019

Le dita di morto e Ofelia

«C'è un salice che cresce storto sul ruscello e specchia le sue foglie canute nella vitrea corrente; laggiù lei [Ofelia] intrecciava ghirlande fantastiche di ranuncoli, di ortiche, di margherite, e lunghi fiori color porpora cui i pastori sboccati danno un nome più indecente, ma che le nostre illibate fanciulle chiamano dita di morto.Lì, sui rami pendenti mentre s’arrampicava per appendere le sue coroncine, un ramoscello maligno si spezzò, e giù caddero i suoi verdi trofei e lei stessa nel piangente ruscello. Le sue vesti si gonfiarono, e come una sirena per un poco la sorressero, mentre cantava brani di canzoni antiche, come una ignara del suo stesso rischio, o come una creatura nata e formata per quell'elemento. Ma non poté durare a lungo, finché le sue vesti, pesanti dal loro imbeversi, trassero la povera infelice dalle sue melodie alla morte fangosa.»
(Amleto, Atto IV, scena VII)

Ophelia è un dipinto a olio su tela (76.2×111.8 cm) del pittore preraffaellita John Everett Millais, realizzato nel biennio 1851-1852 ed appartenente alla collezione della Tate Gallery di Londra.

Pensierino. Leggo l'Amleto di W. Shakespeare nella traduzione/interpretazione di Cesare Garboli su "istigazione dell'attore Carlo Cecchi. Ma lo leggio seguendo l'interpretazione di Vittorio Gassman nella traduzione di Luigi Squarzina per l'adattamento televisivo (la prima al Teatro Valle di Roma il 28 novembre 1952 con un giovanissimo Luca Ronconi).
Mi perdo tra le infinite speci di piante dentro quell'acqua così trasparente, incuriosito in particolare da quelle che le fanciulle illibate "chiamano dita di morto". Qualcuno le ha identificate tutte quelle erbe e fiori e piante, ma il fascino di questa immagine va al di là della botanica.
NB. Forse l'immagine è coperta da © , ma il mio blog non ha alcun fine di lucro.

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