Nippers, il secondo della lista, era un giovinotto di circa venticinque anni, con un paio di favoriti, un colorito olivastro, e, nel complesso, un aspetto piuttosto piratesco. L'ho sempre considerato vittima di due poteri malefici: l’ambizione e la cattiva digestione. L'ambizione era rivelata da una certa impazienza verso i doveri di semplice copista, un'ingiustificabile tendenza ad usurpare pratiche d'ordine strettamente professionale, come la stesura originale di documenti legali. La cattiva digestione pareva segnalarsi con occasionali forme di nervosismo e smorfie d’insofferenza, tali da produrre un percepibile stridio di denti per errori commessi nel copiare; con maledizioni non necessarie, sibilate più che pronunciate, nel fervor del' lavoro; e, soprattutto, con una persistente insoddisfazione circa l’altezza del suo tavolo di lavoro. Quantunque persona molto ingegnosa e pratica, Nippers non riusciva mai ad adattare a sé il proprio tavolo. Sotto, vi infilava schegge, zeppe d’ogni sorta, strisce di cartone, ed infine giunse al punto di cimentarsi in sofisticate sistemazioni, mediante strisce ripiegate di carta assorbente.
Ma nessuna invenzione raggiungeva lo scopo. Se, per dar sollievo alla propria schiena, sistemava il coperchio del tavolo ad angolo retto e sollevato fino al proprio mento, scrivendo cosi come chi usasse per tavolo il ripido tetto d'una casa olandese, allora dichiarava egli che tale posizione gli bloccava la circolazione nelle braccia. Se, invece, abbassava il tavolo all'altezza della vita, curvandovisi sopra per scrivere, sentiva un dolore alla schiena. In breve, la realtà dei fatti era che Nippers non sapeva ciò che volesse. O, se mai voleva qualcosa, era di liberarsi affatto del tavolo da copista.
Herman Melville, Bartleby lo scrivano, Feltrinelli (Traduzione di Gianni Celati).
Pensierino ergonomico (effetto collaterale di deformazione professionale).
Che simpatico Nippers. Con quei favoriti, poi! ( pensa che da bambina quando ne trovavo traccia nei romanzi dell'Ottocento, indugiavo sempre un po' prima di ricominciare a leggere )
RispondiEliminaE tu... ? Bisogno di aria aperta, ansia di libertà, generica insofferenza?
:)
In questo racconto di Melville i personaggi sono quattro: il titolare della studio ed i suoi tre scrivani di cui uno è l'enigmatico Bartleby. Lo scrivano Bartleby è un mistero perché non si sa di dove venga né dove viva ed è piombato nello studio come una meteora. Bartleby non parla con nessuno e risponde solo a domanda, ma la sua risposta a qualsiasi richiesta è immancabilmente "Avrei preferenza di no". Vuole rimanere a ricopiare scartoffie dietro al suo paravento con una finestra che ha come vista la mattonata di un altro palazzo. Non c'è verso di smuoverlo da questo atteggiamento di distacco e di riservatezza assoluta e potrebbe rinunciare persino al lavoro di ricopiare.
RispondiEliminaPesano su queste vicende dello scrivano Bartleby, le sfortune letterarie di Melville dopo il grande successo di Moby Dick, ma sono particolari psicologici di dettaglio: ancora oggi chi si accosta a questo racconto rimane spaesato e si pone tanti interrogativi, quasi tutti senza risposta...
Quella del silenzio è una scelta coraggiosa, ma va costruita a piccoli passi, con molta perseveranza e con la consapevolezza che è "solo" una possibile scelta...
Si, ricordo Bartleby. Difficile dimenticare il suo ostinato trincerarsi dietro il "preferirei di no". Una scelta possibile , come dici tu - tra le tante più consuete e socialmente accettate - che incute una sorta di sorpreso ed impaurito rispetto.
RispondiElimina