domenica 12 gennaio 2020

Incipit de La pelle di Curzio Malaparte

Erano i giorni della «peste» di Napoli. 

Ogni pomeriggio alle cinque, dopo mezz'ora di punching-ball e una doccia calda nella palestra della P.B.S., Peninsular Base Section, il Colonnello Jack Hamilton ed io scendevamo a piedi verso San Ferdinando, aprendoci il varco a gomitate nella folla che, dall'alba all'ora del coprifuoco, si accalcava tumultuando in via Toledo.
Eravamo puliti, lavati, ben nutriti, Jack ed io, in mezzo alla terribile folla napoletana squallida, sporca, affamata, vestita di stracci, che torme di soldati degli eserciti liberatori, composti di tutte le razze della terra, urtavano e ingiuriavano in tutte le lingue e in tutti i dialetti del mondo. L'onore di essere liberato per primo era toccato in sorte, fra tutti i popoli d'Europa, al popolo napoletano: e per festeggiare un così meritato premio, i miei poveri napoletani, dopo tre anni di fame, di epidemie, di feroci bombardamenti, avevano accettato di buona grazia, per carità di patria, l'agognata e invidiata gloria di recitare la parte di un popolo vinto, di cantare, di battere le mani, saltare di gioia tra le rovine delle loro case, sventolare bandiere straniere, fino al giorno innanzi nemiche, e gettar dalle finestre fiori sui vincitori,
ma nonostante l'universale e sincero entusiasmo, non v'era un solo napoletano, in tutta Napoli, che si sentisse un vinto. Non saprei dire come questo strano sentimento fosse nato nell'animo del popolo.

Incipit La pelle di Curzio Malaparte

Pensierino. Napoli dal 1940 fino al tremendo agosto del 1943 ha subito 100 bombardamenti aerei. La città era sprovvista di ricoveri pubblici antiaerei e quindi i rifugi erano le cavità naturali che si aprono sotto la città. Arrivati gli americani liberatori, la città allo stremo, affamata e cenciosa, si affanna a sopravvivere con ogni mezzo, con un ulteriore, inesorabile degrado. Nessuno si sentiva un "vinto" perché tutti stavano perdendo.


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