Dice il Gran Kan a Marco Polo : - Tutto é inutile, se l'ultimo approdo non può essere che la città infernale, ed è là in fondo che, in una spirale sempre più stretta, ci risucchia la corrente.
E Polo risponde: - L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme.
Due rnodi ci sono per non soffrirne. II primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.
(dalla post-fazione di Italo Calvino a Le città invisibili)
Pensierino. Che si sono detti Marco Polo ed il Gran Khan veramente? Certo non si sono parlati. Certo ognuno di loro ha voluto comunicare con gesti, comportamenti, abbigliamento, doni, festeggiamenti... Ciascuno avrà dovuto scavare nei "segni" essenziali della propria cultura per far riconoscere quelli che riteneva universali. E, dunque, cosa si sono detti ?
O cosa non si sono detti? E' forse proprio il non detto che ha reso così efficace la comunicazione.
RispondiElimina"Ciò che rendeva prezioso a Kublai ogni fatto o notizia riferito dal suo inarticolato informatore era lo spazio che restava loro intorno, un vuoto non riempito di parole"
Marco Polo,“ignaro delle lingue del levante”, non si esprime, come avevano fatto tutti gli altri ambasciatori, in una lingua sconosciuta al Gran Khan, ma utilizza gesti, salti, urla di meraviglia e di stupore, smorfie d'orrore e narra le città utilizzando gli oggetti che tira fuori dalle sue valigie, improvvisando una sorta di rappresentazione mimico-gestuale che il sovrano deve interpretare.
Il Gran Khan deve decifrare quei segni, che rimangono tuttavia incerti e ambigui: è un linguaggio nuovo, aperto, "leggero" di senso, che il sovrano può interpretare come più gli piace. Deve riempire quegli spazi vuoti di parole, quei frammenti, deve "entrare" nella strutturazione e nella composizione del racconto
deve immaginare quei luoghi.
“Le descrizioni di città visitate da Marco Polo avevano questa dote: che ci si poteva girare in mezzo col pensiero, perdercisi, fermarsi a prendere il fresco, o scappare via di corsa…”