sabato 3 aprile 2010

Una serata a teatro

Entrare al Piccolo Teatro di Milano di Via Rovello è come entrare in un pezzo di storia di Mialno (e non solo) del dopoguerra. Ma tira un'aria diversa. Potrebbe essere altrimenti in quest'Italia di saltimbanchi, puttane e faccendieri?
Commedia non facile, scenografia ridotta all'essenziale, fitto intreccio psicologico tra quattro personaggi sovrastati dalle loro fobie, rancori, frustrazioni.
Finisce il prologo e già una coppia di trentenni si alza e se ne va sghignazzando rumorosamente. Poi , dopo qualche scena, due signore sedute a fianco guadagnano l'uscita alla chetichella.
Un ragazzo davanti a noi prima estrae un mastodontico panino da un rumorosissimo sacchetto di plastica (possibile che i produttori di tali contenitori non si siano posti il semplice obiettivo di farli meno "scricchiolanti"), poi comincia ad armeggiare con il telefonino illuminando mezza sala con un display da 8 pollici. Per pudore il panino lo sgranocchia tenendolo nel sacchetto di carta (a tutto c'è un limite!). E' inquieto: da quasi un'ora non ha ricevuto sulla sua meraviglia tecnologica alcun messaggio e nemmeno è "vibrato" una volta. Esce due volte per andare ai servizi, ma inspiegabilmente torna tutte e due le volte e rimane fino alla fine. Non applaude al termine della commedia rimanendo impassibile sulla sua poltroncina a boffonchiare qualcosa.
L'attore protagonista arriva all'epilogo finale, esce di scena e cala un minaccioso silenzio nella sala, nessun timido applauso. Tutte le luci si accendono ed i quattro personaggi avanzano verso il proscenio sotto la luce piena dei riflettori. Il pubblico solo allora si scuote ed applaude ritualmente.
Poi il comunicato degli artisti (dal retropalco escono anche i tecnici, il regista, gli operatori vari di scena) che parla dei tagli al teatro, della perdita di migliaia di posti di lavoro, della precarizzazione di un lavoro già di per sé precario, almeno per coloro che non sono attori di grido, attori che non hanno fatto comparsate in TV, o l'Isola dei famosi (loro non lo sono), una particina in un film e nemmeno una pubblicità di qualche inutile prodotto commerciale. Chiedono semplicemente di poter fare un mestiere.
Il pubblico (per solidarietà?) applaude convintamente, più di prima al termine della commedia.
Si esce su Via Rovello. Sarà stato così il teatro di Paolo Grassi, Giorgio Strehler e Nina Vinchi che nel '47 apriva i battenti con una carica di speranze insensata, visti i disastri che Milano si era appena lasciata alle spalle? Qui nei disastri ci stiamo entrando ed i teatri si chiudono.

1 commento:

  1. Mi risulta ancora difficile prendere atto di come tutto si stia livellando verso il basso. Questo post, lo ammetto, mi ha indicato una buona via per la definitiva presa di coscienza... :)

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