domenica 7 dicembre 2008

Ovidio, Metamorfosi, Libro XI, Versi 592-649


(Gaetano Previati, Il giorno sveglia la notte)

Dove stanno i Cimmeri c'è una spelonca dai profondi recessi, una montagna cava, dimora occulta del pigro Sonno, nella quale con i suoi raggi, all'alba, al culmine o al tramonto, mai può penetrare il sole: dal suolo, in un chiarore incerto
di crepucolo, salgono senza posa nebbie e foschie.
Qui non c'è uccello dal capo crestato che vegli e chiami col suo canto l'aurora; e non rompono, col loro richiamo, il silenzio cani all'erta od oche più sagaci dei cani.
Non si ode suono di fiere o di armenti, non di rami mossi da un alito di vento, non si ode alterco di voci umane.
Vi domina il silenzio e quiete. Solo da un anfratto della roccia sgorga un rivolo del Lete, la cui acqua scivola via mormorando tra un fruscio di sassolini e concilia il sonno.
Davanti all'ingresso dell'antro fiorisce un mare di papaveri e un'infinità di erbe, dalla cui linfa l'umida Notte attinge il sopore per spargerlo sulle terre immerse nel buio.
In tutta la casa non v'è una porta, perché i cardini girando non stridano; nessuno sta di guardia sulla soglia.
Al centro della grotta si alza un letto d'ebano imbottito di piume del medesimo colore e coperto di un drappo scuro, dove con le membra languidamente abbandonate dorme il nume.
Tutto intorno giacciono alla rinfusa, negli aspetti più diversi, le chimere dei Sogni, tante quante sono le spighe nei campi, le fronde nei boschi, o quanti i granelli di sabbia spinti sul lido.
Quando la vergine vi entrò, scostando con le mani i Sogni per poter passare, al fulgore della sua veste s'illuminò la sacra dimora, e il nume, schiudendo a malapena gli occhi appesantiti dalla sonnolenza, e ancora ancora ricadendo, f con il mento che ciondoloni gli sbatteva in alto contro il petto, riusci finalmente a scuotersi e, sollevandosi sul gomito, chiese, avendola riconosciuta, perché mai fosse venuta. E lei: « Sonno, quiete d'ogni cosa, Sonno, dolcissimo fra i numi, pace dell'animo, che disperdi gli affanni e rianimi i corpi oppressi dal lavoro e li ritempri per nuove fatiche, ordina a un Sogno, che sappia imitare forme vere, i recarsi a Trachine, la città di Ercole, e presentarsi ad Alcione con le sembianze di Ceice, come appare un naufrago.
Lo comanda Giunone. E appena ebbe assolto la missione, Iride se ne andò, perché più non resisteva al potere soporifero del luogo: come sentì la sonnolenza invaderle e membra, fuggì via risalendo l'arco dal quale era venuta. Allora il Sonno dalla marea dei suoi mille figli destò Morfeo, un talento nell'assumere qualsiasi sembianza. Nessun altro più abilmente di lui è in grado d'imitare l'incedere che gli si chiede, l'espressione e il timbro della voce; in più vi aggiunge il modo di vestire e le parole che distinguono quell'individuo. Ma imita soltanto le persone, mentre invece con altro figlio che diventa fiera, uccello o lunghissima serpe: gli dei lo chiamano Icelo, Fobètore i comuni mortali. Ve n'è poi un terzo, Fàntaso, che si distingue per valentia diversa: si trasforma con l'inganno in terra, roccia, acqua o tronco, insomma in qualsiasi cosa inanimata.
Alcuni appaiono di notte a re e condottieri,
altri si aggirano tra la gente del popolo.
Il venerando Sonno tralasciò tutti questi e fra tanti figli scelse appunto il solo Morfeo per eseguire gli ordini recati dalla figlia di Taumante. Poi, risciogliendosi in molle languore, reclinò il capo, sprofondando nelle coltri del suo letto.

Commento. La Notte è la Madre primordiale: secondo gli Inni orfici si congiunse al vento e depose un uovo argenteo (la Luna) dal quale nacque Eros-Fanete, il desiderio che muove l'universo. Erano considerati anche suoi figli il Cielo e la Terra, il Sonno e la Morte (cft Dizionario dell'Arte,Simboli e allegorie, Electra editore). La Notte rimane un tempo misterioso, dedicato al sonno di cui non sappiamo quasi nulla. Il sonno è una "morte temporanea", parente stretto dell'altra morte di cui conosciamo solo gli aspetti biologici.
Sapere che nasciamo da questa cosa primordiale ed umida che è la notte mi rassicura: nella notte mi trovo bene.

(Battista Dossi, Sogno)

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