mercoledì 15 aprile 2009
Le rappresentazioni del Potere
Paolo III e i nipoti Alessandro e Ottavio Farnese è un dipinto ad olio su tela di cm 210 x 176 realizzato nel 1546 dal pittore italiano Tiziano.
È conservato alla Galleria di Capodimonte a Napoli.
Ritrae il vecchio papa Paolo III, seduto su di una sedia, con il nipote Ottavio, genuflesso, e dietro Alessandro in abito cardinalizio.
Il bel libro di Antonio Forcellino "1545. Gli ultimi giorni del Rinascimento" edito da Laterza punta l'attenzione, nella sua parte centrale, su questo quadro del Tiziano ed in particolare sulla immagine che vuol dare di sé il potere (in questo caso il potere papale di Papa Paolo III Farnese).
Il pittore è un semplice strumento come il pubblicitario lo è del prodotto commerciale che deve promuovere e nel caso di Tiziano è uno strumento oltre che di eccezionale capacità tecnica e sensibilità, anche assai duttile alle richieste di modifiche e correzioni con un atteggiamento sempre deferente verso il committente dal quale vuole in cambio privilegi e rendite per sé e la sua famiglia. Una deferenza parassita che ha come obiettivo l'ottenimento di favori e protezioni dal Potere che conosciamo molto bene in Italia.
Del quadro si sono date fino a non molti anni fa interpretazioni che, alla luce della ricca documentazione presentata dal Forcellino, non reggono al vaglio critico. Si voleva infatti attribuire a Tiziano un atteggiamento critico nei confronti della famiglia Farnese rilevato dall'atteggiamento dei tre personaggi del quadro che sembrano attraversati da una forte tensione.
Dice l'Autore:
"Il moralismo moderno aveva bisogno di ribaltare i ruoli, raccontando un pittore disgustato dalle ambizioni dei suoi committenti. Come se il talento estetico di Tiziano dovesse necessariamente accompagnarsi ad una spiccata sensibilità etica, in un'epoca nella quale quasi sempre i due valori non erano coincidenti e la seconda neppure necessaria. La realtà fu molto diversa. Tiziano mise il proprio talento al servizio dei Farnese, che ne furono felicissimi e soddisfatti come di un negoziato politico portato a buon fine. A quel fine aveva piegato tutta la sapienza dell'arte rinascimentale, incluse le ricerche di Raffaello. Ricevette un rimborso prima di tornare a Venezia e la promessa di quel beneficio che si era guadagnato con tanta devozione. Dei beneficio continuò a trattare con il cardinale con la rispettosa devozione che gli era dovuta, e perfino quando fu chiaro che non l'avrebbe avuto non smise di considerare il cardinale Alessandro Farnese un suo protettore, come dimostra la dedica delle sue stampe nel 1566. ifdisappunto immaginato dai romanzieri ottocenteschi e dagli storici novecenteschi sensibili a quei romanzi non aveva spazio nel rapporto rigido stabilito nel Cinquecento tra committente ed artista. Il talento era piegato al servizio del committente perché solo nella sua piena soddisfazione l'artista trovava la possibilità di continuare la propria produzione. Il dipinto di Tiziano, realizzato in una corte stremata dai conflitti e dalle tensioni, ha, proprio grazie al talento dell'artista, la calma e la regalità che doveva avere il ritratto di Stato destinato alla divulgazione e alla seduzione dei cortigiani. Tiziano ha saldato il proprio talento e le proprie ambizioni al talento e alle ambizioni dei committenti, tenendosi prudentemente alla larga da ogni giudizio morale. Questa separazione tra giudizio morale e prestazione professionale era pratica comune in Italia da cento anni almeno. Niente fa più estraneo al Rinascimento del giudizio morale ed etico sui grandi protagonisti del tempo. Anche quando, come fu per i papi e i cardinali, il loro ruolo postulava integrità morale, si fecero grandi sforzi per tenere distinte le debolezze degli uomini dall'azione che istituzionalmente intraprendevano. Questa separazione divenne incomprensibile nell'Ottocento, quando la moralità codificata divenne il parametro di giudizio di ogni attività umana. Almeno nella sua dimensione pubblica. Si ricercò anche nel Rinascimento italiano questa unità di morale e talento ma questo fu forse il modo più radicale di tradirlo."
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Ho letto sul tuo blog il commento al quadro di Tiziano e alla rappresentazione del potere degli artisti in genere.
RispondiEliminaMi sei sembrato un po' troppo severo. A quei tempi (almeno fino al XIX secolo) il "potere" era pur sempre il solo ed unico committente.
I pittori dovevano compiacerlo se volevano essere pagati e mantenersi. Non c'erano gallerie d'arte o altro.
Il volto che ci guarda nel quadro che proponi è, infatti, quello del committente. Forse anche solo il distogliere lo sguardo da noi che guardiamo e il parlarsi tra loro dei due personaggi è già in parte una condanna (voluta dal committente? Forse. Piaggeria del pittore? Può darsi).
Il fatto è che Tiziano (che personalmente non amo molto) TENEVA famiglia. Si era sposato tardi ed era riuscito ad avere almeno 4 figli.
Amava l'agiatezza, era gentile e pronto a compiacere e adorava moglie e figli cui voleva dare molto, se non tutto.
Il coraggio chi non ce l'ha non se lo può dare. Non tutti potevano come Michelangelo, in parte Mantegna e poi Caravaggio, dire come la pensavano e rischiare di finire in miseria. O forse non tutti devono, per forza, odiare il potere.
Anche allora c'era chi preferiva stare in ginocchio e chi alzava i pugni verso il cielo.
Ciao e buon compleanno in ritardo.
ginetta
@Ginetta. Il giudizio su Tiziano era dell'autore di 1545 Antonio Forcellino. Mi interessava questa scissione fatta dal Rinascimento tra giudizio morale e opera d'arte che è il preludio alla grande epurazione della Controriforma che minuziosamente andrà negli anni successivi ad indicare canoni espressivi fin nelle rappresentazioni campestri dei più sperduti oratorii.
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