venerdì 13 marzo 2009
Viaggio in India
Non amo i viaggi. O meglio, non amo l'attesa della partenza: mi mette addosso una grande agitazione, una frenesia, come un cavallo scalpitante che attende il colpo di sperone del cavaliere per lanciarsi al galoppo. E forse è proprio questo che non funziona: il viaggio non si fa correndo, con le proprie gambe, confidando nella propria resistenza fisica. Non è commisurato alla proprio corpo. Il viaggio, sempre più spesso, è legato ad auto, treni, aerei, navi.
Il raggio d'azione dei nostri vecchi, fino alla fine dell'800, era di poche decine di chilometri. Nel '900 le grandi migrazioni portavano a fare viaggi spaventosi (anche solo stagionali), ma erano per la sopravvivenza, per tentare di sfuggire alla fame, alla miseria. C'erano viaggiatori per diletto, ci sono sempre stati nella storia, ma erano una minoranza privilegiata. Al massimo c'erano professioni che imponevano il movimento (l'arrotino, lo spazzacamino, l'ombrellaio, il teatrante ecc). Ma non erano "viaggi" come li intendiamo oggi.
Ora invece il viaggio per diletto è diventato consumo di massa.
La seconda cosa che non mi attrae dei viaggi è l'assenza di un motivo. Non mi basta il fatto di andare a visitare un posto mai visto "per vederlo", per mettere una etichetta adesiva sulla valigia (si mettono ancora?) come una tacca sulla colt del pistolero. Un viaggio deve avere un senso, deve nascere dalla volontà di conoscere un posto perché lì c'è qualcosa che può aiutare la conoscenza. Il viaggio verso una méta senza fare anche un viaggio interiore è senza senso.
Mi sorge un dubbio: viaggio poco anche perché viaggio poco interiormente? Lascio questa domanda a mezz'aria.
Di tutti i viaggi, la mia generazione ha adorato e mitizzato il viaggio in India. Musica, arte, spiritualità e naturalmente letteratura. Chi potrebbe dimenticare le atmosfere di Notturno indiano di Tabucchi o le pagine di Herman Hesse del Siddartha?
Ecco queste cose mi riconciliano un po' col viaggio anche se una domanda, insinuante e indisponente, mi viene alla mente: sarà come vedere il film dopo aver letto il libro?
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Conoscere un posto può essere anche una scusa...Vedere un posto, idem...Ma non sono le ragioni principali. Almeno per me.
RispondiEliminaÈ il viaggiare, la dimensione dello spostamento, del nomadismo, di essere alle prese con qualcosa altro da te che stimola i tuoi sensi, orecchie, naso, bocca, il rubare vite altrui, l'entrare nei cortili delle case...questo è quanto amo del viaggio....
@Chiara. La parola chiave del tuo commento è "rubare" -:) non so, rimango perplesso e ... fermo...
RispondiEliminaciao